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Trump, impeachment e Russiagate: cosa sta succedendo alla Casa Bianca

Donald Trump respinge ogni accusa sull’ipotesi di impeachment e parla di “una caccia alle streghe” nei suoi confronti. Il presidente USA reagisce alle accuse di stampa e opposizione dopo il licenziamento di James Comey dall’Fbi perché non indagasse sul presunto coinvolgimento della Russia nelle elezioni che lo portarono alla Casa Bianca e che sfociò nelle dimissioni dell’ex segretario alla Sicurezza Michael Flynn. La reazione è quella tipica di Trump: un tweet in cui parla di “greatest whitch hunt“, la più grande caccia alle streghe della storia americana (che in fatto di streghe ne sa qualcosa, da Salem al maccartismo). La stampa però non molla la presa così come i democratici che hanno ottenuto dal Dipartimento di Giustizia la nomina di un procuratore speciale, l’ex direttore dell’Fbi Robert S. Mueller III, per le indagini sul Russiagate e i rapporti tra Cremlino e il comitato elettorale di Trump. Nel frattempo, dai media americani emergono altri dettagli che potrebbero complicare di molto la situazione: cosa sta succedendo alla Casa Bianca? Facciamo il punto della situazione.

Lo stato attuale delle cose in America vede Donald Trump a rischio di impeachment per “ostacolo alla giustizia”, motivo per cui si può avviare la procedura. Il rischio in realtà è molto lontano (anche se possibile): la nomina del procuratore speciale Mueller apre una nuova fase di indagini che potrebbero durare mesi se non anni prima di dare la parola definitiva sul Russiagate. Ripercorriamo tutte le tappe della vicenda.

Trump licenzia il direttore dell’Fbi

Il 9 maggio Donald Trump spiazza tutti e licenzia il direttore dell’Fbi James Comey. La decisione lascia in molti sorpresi perché Comey era stato uno dei pochi dirigenti al vertice delle agenzie federali confermati da Trump. La motivazione ufficiale è legata al caso delle mail di Hillary Clinton per cui la candidata venne scagionata dall’Fbi quando era troppo tardi, tanto che l’ex Fist Lady indicò nell’atteggiamento dell’Fbi il vero motivo della sua sconfitta. Dopo avergli rinnovato la fiducia per mesi, Trump licenzia in tronco l’ex direttore Comey usando una prerogativa presidenziale. A livello ufficiale tutto viene fatto secondo i crismi: Trump informa Comey che il suo mandato è terminato e, su indirizzo del ministro della giustizia Jeff Sessions, viene rimosso. “Pur apprezzando notevolmente il fatto che mi abbiate fatto sapere, in tre diverse occasioni, che non sono sotto inchiesta, non posso che concordare con il dipartimento di Giustizia: Lei non è in grado di guidare in modo efficace il Bureau“, scrive Trump nella lettera consegnata a mano a Comey.

A livello politico il licenziamento di Comey è dovuto a ben altro, come fa notare la stampa e le opposizioni. L’ormai ex direttore dell’Fbi indagava sul Russiagate, ossia sui presunti contatti tra lo staff di Trump e Mosca, con Vladimir Putin e gli hacker a muovere i fili per la sua elezione. Il caso è già costato il posto a Flynn, dimessosi da segretario per la sicurezza nazionale per i contatti avuti col Cremlino e la Turchia, e rischia di far saltare la presidenza.

Trump rivela informazioni riservate alla Russia

Il giorno dopo, e siamo al 10 maggio, Trump incontra alla Casa Bianca il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, alla presenza dell’ambasciatore Kislyak. Quattro giorni, il Washington Post esce con la notizia che Trump avrebbe rivelato informazioni riservate alla Russia: in particolare, si tratterebbe di informazioni top secret sulla presunta minaccia dei laptop in aereo. Mentre montano le polemiche, Trump decide di uscire allo scoperto e rivendica la scelta di aver condiviso informazioni utili per la guerra al terrorismo. “Avevo tutto il diritto di farlo“, dice a tal proposito in un’intervista tv. La stampa e i democratici partono all’attacco, sottolineando l’incapacità di Trump nel gestire situazioni così delicate che toccano anche la sicurezza nazionale e il rischio impeachment si avvicina.

Il NYT: Trump ha chiesto a Comey di non indagare sul Russiagate

Mentre gli Stati Uniti stanno ancora discutendo sulle rivelazioni di Trump a Lavrov (Putin, in conferenza stampa con il premier Paolo Gentiloni ha parlato di “schizofrenia politica” nei confronti di Trump e si è detto pronto a dare le trascrizioni dei colloqui), il 16 maggio esplode un nuovo caso. Questa volta è il New York Times a rivelare che Trump avrebbe chiesto a Comey, quando era ancora a capo dell’Fbi, di archiviare le indagini sull’ex consigliere Flynn per il Russiagate. La notizia è di quelle che possono cambiare la storia: se venisse confermata, Trump potrebbe essere accusato di ostruzione o ostacolo alla giustizia, uno dei casi per cui si può chiedere l’impeachment.

La parola impeachment inizia a circolare con più insistenza. Il 15 maggio il senatore democratico del Texas Al Green chiede l’impeachment per Trump per il reato di ostruzione alla giustizia davanti al Congresso. “Non lo faccio per scopi politici, ma perché credo nei grandi ideali di questa nazione: libertà e giustizia per tutti. Lo faccio perché credo in questo paese e perché nessuno è sopra la legge, incluso il presidente“, ha dichiarato in Aula il senatore.

Trump ancora nei guai

Paul Ryan

Il 18 maggio è il Washington Post a lanciare un’altra notizia esplosiva, riportando il dialogo avvenuto a giugno (quindi in piena campagna elettorale) tra i capi del partito repubblicano, in cui l’House Majority Leader Kevin McCarthy, sostenitore di Trump, dice di sospettare che “Putin lo paga” e lo speaker della Camera Paul Ryancerca di sviare il discorso. Non solo. Il New York Times conferma che l’ex generale Flynn era già sotto inchiesta per i contatti con Russia e Turchia da lobbista quando Trump lo nominò segretario della sicurezza, mentre la Reuters parla di altri 18 contatti tra Mosca e il team di Trump non ancora noti.

Non bastasse, il vice procuratore generale Rob Rosenstein il 18 maggio testimonia in Congresso sulle modalità del licenziamento di Comey dall’Fbi in un’audizione a porte chiuse. Rosenstein è stato l’autore del dossier contro l’ex direttore del Bureau, colui cioè che avrebbe consigliato al presidente di licenziarlo perché non più idoneo.

Davanti al Congresso invece la versione è molto diversa: Rosenstein ammette di aver saputo che Trump stava per licenziare il direttore dell’FBI prima ancora di scrivere il dossier in cui gli raccomandava di farlo, come ha raccontato la senatrice democratica Claire McCaskill alla stampa. Rosenstein sapeva dunque che Comey sarebbe stato sacrificato ed è per questo che avrebbe scritto il rapporto negativo. La situazione sarebbe dunque molto critica se, come ha dichiarato il senatore repubblicano Lindsey Graham, il Dipartimento di Giustizia sta indagando sul caso Russiagate come “un’inchiesta penale“.

Lorena Cacace

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