Donald Trump incontra Benjamin Netanyahu, rinsalda l’alleanza tra USA e Israele, torna a parlare di spostare l’ambasciata a Gerusalemme, chiede di frenare sui nuovi insediamenti e cancella la soluzione dei due Stati, invocando un processo di pace che ci deve essere, come non importa. Il presidente USA incontra per la prima volta alla Casa Bianca il premier israeliano e affronta da presidente eletto il tema del conflitto israeliano-palestinese segnando una brusca svolta nella politica a stelle strisce. “Che la soluzione sia a uno o due Stati, quella che loro preferiscono, l’importante è che sia pace“, ha dichiarato in conferenza stampa, gettando al vento anni di sforzi delle amministrazioni precedenti per convincere Israele ad accettare la soluzione con due Stati, l’unica accettata dalle autorità palestinesi. Non solo. Trump è tornato sulla possibilità di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, rompendo così un equilibrio delicatissimo. Tutto questo mentre sul fronte interno l’amministrazione Trump perde un altro pezzo con l’addio di Andy Puzder che ha rinunciato alla nomina a ministro del Lavoro.
Trump e la moglie Melania hanno ricevuto Netanyahu e la consorte Sara alla Casa Bianca in quello che è il primo incontro ufficiale tra i due leader.
In un momento molto critico, con gli occhi del Paese puntati sull’amministrazione dopo l’addio di Michael Flynn che ha scatenato polemiche e nuove rivelazioni della stampa su presunti contatti tra Washington e Mosca, segno di una certa confusione nei corridoi della Casa Bianca.
Anche sul tema Israele Trump aveva rischiato di inciampare. Una delle sue prime promesse fin dalla campagna elettorale riguardava lo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Se così fosse, il rischio di innescare nuove violenze è più che reale.
Gerusalemme è la rappresentazione plastica della delicata questione dei “due Stati”, divisa tra Est e Ovest, tra Israele e Palestina. Nel 1980 una legge israeliana con rilievo costituzionale, detta “Legge fondamentale”, diede a Gerusalemme il titolo di capitale “eterna e indivisibile”, scatenando il Consiglio di Sicurezza dell’Onu che la considerò una forma di annessione di Gerusalemme Est. La città non è mai riconosciuta dalla comunità internazionale perché “occupata” nella sua zona Est.
Da allora tutti i paesi nel corso degli anni hanno spostato le ambasciate a Tel Aviv per evitare tensioni, Stati Uniti compresi, nonostante una legge del 1955, il Jerusalem Embassy Act che riconosce Gerusalemme “città indivisa” e “capitale dello Stato di Israele”, con la decisione di spostarvi l’ambasciata. In realtà, da allora ogni anno il presidente USA blocca il trasferimento, almeno fino all’arrivo di Trump. “Per quanto riguarda il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme, mi piacerebbe che accadesse. Ce ne stiamo occupando con molta, molta energia. Ce ne occupiamo con molto, molto impegno, credetemi. Vedremo cosa succederà”, è stata la sua dichiarazione in conferenza stampa.
Il passaggio più contestato è però quello che riguarda i due Stati, la necessità che Israele e Palestina si riconoscano a vicenda per porre fine all’eterno conflitto. “Voglio vedere Israele contenersi un po’ sugli insediamenti”, ha dichiarato Trump in conferenza stampa, aggiungendo che “La soluzione sia a uno o due Stati, quella che loro preferiscono”, l’importante è che ci sia pace. “È necessario che siano direttamente le due parti, israeliani e palestinesi, a trovare una soluzione in negoziati diretti”, ha insistito, dando la sponda a Netanyahu che ha ribadito la necessità del riconoscimento di Israele da parte delle autorità palestinesi.
Con questa dichiarazione Trump ha cancellato decenni di sforzi diplomatici affinché la soluzione dei due Stati, tra l’altro approvata anche dalle Nazioni Unite il 29 novembre 2012, con la risoluzione 67/19 dell’Assemblea Generale che ha riconosciuto l’esistenza dello Stato di Palestina, venga portata a termine.
Il tutto mentre Israele ha ratificato una legge per legalizzare gli insediamenti in Cisgiordania che permette ai cittadini israeliani di appropriarsi di terreni privati in territorio palestinese con il solo pagamento di somme in denaro. La legge ha scatenato le proteste della comunità internazionale e dell’Onu, ma anche quelle interne con anche alcuni esponenti del Likud (il partito di Netanyahu) che l’hanno definita “legge-rapina“.
Nel frattempo, l’amministrazione Trump perde un altro pezzo con la rinuncia di Andy Puzder, re del fast food, alla nomina a segretario del Dipartimento del Lavoro. Puzder era finito nel mirino della stampa per una serie di scandali e di cause intentategli da alcuni dipendenti, ma non sarebbe questo il vero motivo. Secondo quanto ricostruito da Politico, l’imprenditore non avrebbe avuto il numero di voti repubblicani necessario per essere confermato al Senato, cadendo così sotto i colpi dell’onnipresente Steven Bannon e di Stephen Miller, che lo consideravano non allineato alla loro politica del pugno di ferro contro l’immigrazione.
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