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Non si ferma la rivolta di migliaia di persone che, per la terza notte consecutiva, hanno protestato in tutta l’America contro l’elezione a presidente degli Stati Uniti di Donald Trump. I manifestanti sono di nuovo scesi nelle piazze delle città principali per ribadire un concetto: Trump is “Not my President”. Questo lo slogan emblema della protesta contro il magnate a capo della Casa Bianca. Nonostante il suo discorso incentrato sulla “riconciliazione”, dopo una campagna elettorale a dir poco aggressiva. A Portland, un uomo è stato colpito da un proiettile ma non è ancora stato identificato. La sparatoria è avvenuta alle 12.45 ora locale. La polizia riferisce che un uomo è uscito da un auto sul ponte e ha sparato al manifestante. Il ferito è stato trasportato in ospedale e non è in pericolo di vita. Il sospetto è ancora in libertà.
Ancora una notte, la terza, di proteste negli Stati Uniti contro l’elezione di Donald Trump. In migliaia sono scesi in strada a Miami, Atlanta, Philadelphia, New York, San Francisco e Portland per esprimere la loro rabbia nei confronti del neoeletto presidente Usa. Nel centro di Portland i manifestanti hanno bloccato il traffico e lanciato oggetti contro la polizia in tenuta antisommossa. Gli agenti hanno respinto i manifestanti con spray al peperoncino e sembra che almeno una persona sia stata arrestata.
LA TERZA NOTTE DI PROTESTE: SI SPARA A PORTLAND
E una persona è stata raggiunta e ferita da un colpo di pistola durante una manifestazione anti Trump a Portland, in Oregon. E’ accaduto mentre i manifestanti stavano attraversando il Morrison Bridge, stando a quanto riferisce la polizia. “Tutti devono immediatamente lasciare l’area”, ha scritto la polizia su Twitter chiedendo ai testimoni della sparatoria di farsi avanti. In centinaia hanno marciato per le strade di Los Angeles fermando la circolazione e sventolando cartelli con la scritta: “Respingiamo il presidente eletto”. Proteste anche a Miami e a New York, dove i manifestanti si sono riuniti al Washington Square Park e vicino alla Trump Tower, dove vive il magnate, sulla Fifth Avenue
LA SECONDA NOTTE DI PROTESTE
Scontri e arresti nella notte tra giovedì e venerdì. Nel mirino, come poche ore prima, gli edifici di Trump nel cuore di Manhattan e le zone limitrofe alla Casa Bianca. La polizia è arrivata a innalzare blocchi di cemento attorno alla Trump Tower. I problemi maggiori si sono verificati a Oakland, in California, dove sono scoppiati violenti scontri tra manifestanti e polizia. Tre agenti sono rimasti feriti durante il lancio di molotov e sassi. Molti gli arresti. Manifestazioni anche a Boston, Filadelfia, Chicago, Detroit, Seattle, Cleveland, San Francisco e Baltimora. Qui una ragazza di 21 anni ha spiegato che “stiamo solo facendo vedere quello che accadrà nei prossimi quattro anni, saranno quattro anni di resistenza”. Violenza a Portland, in Oregon, dove alcuni manifestanti hanno lanciato proiettili verso la polizia e danneggiato auto. Gli agenti hanno parlato di “vera e propria rivolta”.
IL COMMENTO DI TRUMPIn merito alle proteste, Trump, in un primo momento, ossia l’11 novembre, ha accusato i media di istigare i manifestanti contro di lui: “Abbiamo appena avuto e ho vinto un’elezione presidenziale molto trasparente e di successo. Ora manifestanti e contestatori di professione, incitati da mesi dai media, stanno protestando. Questo è ingiusto”. Salvo poi fare marcia indietro e usare una tattica più conciliante. Su Twitter infatti ha teso la mano ai manifestanti: “Amo il fatto che piccoli gruppi di manifestanti la scorsa notte abbia mostrato passione per il nostro grande Paese. Ci uniremo tutti e ne saremo orgogliosi”.
LA PRIMA NOTTE DI PROTESTE
Tensione alle stelle già la notte precedente. Soprattutto a New York. È a Manhattan che il presidente abita e porta avanti molti dei suoi business. I manifestanti, nonostante la pioggia, si sono radunati a Union Square a suon di slogan: “Not my President” e “Hey Hey Ho Ho Donald Trump has to go”. Alcuni hanno anche bruciato maschere ed effigi con il suo volto. Poi sono partiti alla volta del suo quartier generale, se così lo possiamo definire: dalla Trump Tower sulla Fifth Avenue a Columbus Circle, all’ingresso nord di Central Park, dove si trova il Trump Hotel. La zona era blindatissima: polizia ovunque, voli vietati, camion anti-bomba e agenti in tenuta antisommossa. Trenta manifestanti sono stati arrestati.
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Proteste anche in California. In seimila hanno paralizzato il traffico di Oakland, lanciando oggetti contro la polizia, bruciando rifiuti e distruggendo le vetrine dei negozi. Gli agenti hanno risposto lanciando gas lacrimogeni. “No Trump. No Ku Klux Klan”, “No razzismo in Usa” hanno urlato quasi duemila persone nel centro di Chicago, fuori dal Trump International Hotel. Strade blindate. “Goditi i tuoi diritti, fin che puoi” era il cartello in mano a una ragazza italiana di 22 anni, che ha commentato così: “Sono veramente terrorizzata per quanto sta accadendo in questo Paese”.
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Tensione anche a Los Angeles, dove i manifestanti seduti sulla Hollywood Freeway hanno bloccato il traffico sfidando la polizia presente in assetto antisommossa. A Seattle una sparatoria con la polizia ha provocato cinque vittime vicino al luogo delle proteste anti-Trump: le autorità hanno comunque affermato che l’incidente non era legato alla manifestazione contro la volontà di costruire un muro con il Messico. Gente in piazza anche a Philadelphia, Boston, Portland fino ad Austin, in Texas. Proteste anche fuori la Casa Bianca, a Washington.
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