Un’inchiesta del New York Times svela il nesso tra il Russiagate e l’invasione russa in Ucraina nel 2022.
Un apparente accordo tra Putin e Trump spiegherebbe il reale obiettivo dell’interferenza russa durante le elezioni Usa del 2016.
L’invasione russa condotta da Putin in Ucraina e l’ingerenza di Mosca durante la campagna elettorale che ha poi portato Donald Trump alla Casa Bianca dopo la vittoria alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti del 2016, erano sempre state considerate come due vicende separate. La lunga e scottante inchiesta del New York Times a firma di Jim Rutenberg svela, invece, che la guerra scatenata sul suolo ucraino e il Russiagate sarebbero strettamente collegate. “L’avventura americana di Putin potrebbe meglio essere compresa se vista come un pagamento anticipato per ottenere poi un Graal geopolitico più vicino casa: uno Stato vassallo ucraino”, ha rivelato il giornalista statunitense. Si trattava del cosiddetto “Piano Mariupol” il cui obiettivo era la creazione di una repubblica autonoma nell’est ucraino guidata, nelle intenzioni, dal deposto presidente ucraino Viktor Yanukovych. Questa sarebbe stata la soluzione russa in cambio della pace.
Facciamo un passo indietro, perché il filo conduttore che lega le due storie parte da lontano.
Le nuove ricostruzioni si basano sulla rilettura di centinaia di documenti relativi all’investigazione sul Russiagate del procuratore speciale americano Robert Muller e alla commissione intelligence del Senato guidata dai repubblicani; provengono anche dalle trascrizioni delle audizioni per l’impeachment di Trump e le relative memorie difensive; da decine di interviste con statunitensi e ucraini e anche con Paul Manafort, ovvero uno dei protagonisti dell’affair.
A fine luglio 2016 Hillary Clinton teneva il discorso con cui accettava di correre per la seconda volta alle elezioni per la presidenza della Casa Bianca sotto la bandiera dei democratici. Quella sera Manafort, al tempo capo della campagna elettorale di Trump, riceveva una mail urgente da Mosca con la richiesta di un incontro urgente di persona. Il mittente era Konstantin Kilimnik, suo socio russo in affari e amico, nato nella parte russofona dell’Ucraina e operante a Kiev per conto della società internazionale di consulenza di Manafort. L’unico riferimento all’oggetto della futura conversazione era la parola in codice “caviale” che si riferiva a un cliente passato, ovvero Yanukovych, scappato nel 2014 in Russia dopo essere stato destituito dalla carica di presidente dell’Ucraina.
Yanukovych aveva rifiutato un accordo con l’Unione europea preferendogli l’aiuto russo di un prestito per risollevare il disavanzo pubblico dello Stato. Questo causò violente proteste di piazza che portarono alla morte di decine di persone e poi in seguito alla sua cacciata. Fu ritenuto responsabile dello spargimento di sangue e condannato in contumacia per alto tradimento. Un mese dopo la sua destituzione la Crimea è stata annessa alla Russia.
Tornando al 2016, Manafort e Kilimnik si incontravano pochi giorni dopo a Manhattan, nell’ufficio di proprietà di Jared Kushner, il genero di Trump, per discutere del Piano Mariupol. Clinton non si sarebbe discostata dalla dottrina americana che voleva l’Ucraina libera e unita ma Trump già all’epoca aveva suggerito un cambio di politica estera se eletto presidente. Quindi, secondo il NYT, sarebbe stato un buon alleato per realizzare il Piano.
Ciò che è successo dopo è noto con il Russiagate. Hacker russi sono intervenuti nell’elezione del 2016 a favore di Trump che poi è rimasto alla Casa Bianca per i successivi quattro anni e contro Clinton per mezzo di campagne di disinformazione. Kilimnik è stato identificato dalle autorità americane come un agente russo che ha fornito informazioni sensibili della campagna del tycoon all’intelligence del Cremlino.
Sei anni dopo il Piano Mariupol non è stato compiuto perché lo stato vassallo guidato da Yanukovych non esiste ma l’Ucraina è stata invasa dalla Russia lasciando sul campo di battaglia e tra i civili migliaia di morti. Trump ha fornito allo zar un aiuto, ma solo in parte quello sperato, attraverso uno scetticismo verso la Nato, il blocco di aiuti militari a Kiev e un’ipotesi solo paventata di riconoscere la Crimea russa. Dopodiché non si è riconfermato alla guida degli Stati Uniti e ha affermato che l’invasione russa “con me non sarebbe mai successa”. Il presidente ora è Biden, decisamente ostile alla causa tanto da definire Putin “un killer”.
Nel frattempo Manafort, che si apprende dall’inchiesta aver fatto il nome di Yanukovych a un oligarca russo già nel 2005, è stato graziato dall’ex presidente Usa dopo essere stato condannato per reati a vario titolo.
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