E’ iniziata una sorta di rivoluzione nella terapia oncologica per il trattamento del tumore al seno e del linfoma non Hodgkin, grazie all’impiego di farmaci antitumorali che si somministrano tramite l’iniezione sottocutanea, pratica innovativa che va a sostituire la cura con l’infusione. Abbiamo sentito il parere di alcuni esperti a proposito di queste nuove terapie sottocute, giudicate qualitativamente efficaci, più sostenibili anche a livello economico e – soprattutto – a misura di paziente.
“I risultati che sono stati raggiunti oggi grazie alla ricerca scientifica erano impensabili fino a pochi anni fa e questo ha permesso a milioni di persone in tutto il mondo di portare avanti progetti di vita, guardando con speranza al futuro oltre la malattia”, afferma Davide Petruzzelli, presidente dell’associazione pazienti La Lampada di Aladino Onlus. “Tuttavia – aggiunge – è fondamentale che le innovazioni anche tecnologiche siano rese note ai pazienti, disponibili nelle strutture ospedaliere e recepite nell’organizzazione del percorso di cura, altrimenti affermare la centralità del paziente rischia di diventare un semplice slogan”.
Partiamo dal report realizzato dall’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari (Altems) dell’università Cattolica di Roma, con il sostegno di Roche. Lo studio ha riguardato il trattamento del carcinoma mammario e del linfoma non Hodgkin con anticorpi monoclonali (rituximab e trastuzumab) somministrati sottocute grazie alle nuove tecnologie. La ricerca – che ha valutato aspetti assistenziali, economici, sociali ed etici – si basa su questionari compilati da oltre 3mila pazienti in cura in più di 60 centri ospedalieri in tutta Italia.
“Il cambiamento delle vie di somministrazione dei due anticorpi monoclonali non modifica i livelli di efficacia e sicurezza già molto elevati in questi farmaci – dichiara Americo Cicchetti, direttore di Altems e docente di Organizzazione aziendale, Facoltà di Economia, Università Cattolica di Roma – ma il passaggio dalla somministrazione endovena a quella sottocute rappresenta una vera e propria rivoluzione sotto il profilo organizzativo e riduce i costi dell’assistenza. Ma a beneficiare di più sono proprio i pazienti con un significativo miglioramento della loro qualità di vita”.
In sostanza l’iniezione sottocutanea che sostituisce l’infusione per endovena permette una migliore qualità della vita del paziente durante le cure antitumorali, più tempo per il medico da dedicare al dialogo con l’assistito, meno attese in ospedale e un’organizzazione sanitaria più agile, con meno personale impegnato nella gestione di un singolo paziente. Non solo, i dati indicano che le ‘terapie brevi’ consentono di salvaguardare e rendere più efficiente il sistema anche da un punto di vista economico, oltre che organizzativo e sociale. C’è dimezzamento dei tempi e al contempo si scongiura il rallentamento dei flussi lavorativi dello staff medico (inserimento di cateteri, rischio di reazioni avverse all’infusione) con un taglio generale dei costi.
Infatti l’uso di terapie sottocutanee per il trattamento dei tumori permette di risparmiare oltre 60 milioni di euro in costi sociali, organizzativi e sanitari: 31,5 milioni in oncoematologia e 30 in oncologia. Con l’adozione di terapie brevi si riducono infatti i tempi di somministrazione che passano da 90 a 5 minuti, mentre i tempi di attesa in ospedale calano del 34% e si taglia del 50% la permanenza in Day hospital.
Ciò consente di ottenere efficienza organizzativa e operativa dei Day hospital, con dimezzamento del tempo impiegato da infermieri e farmacisti.
“I benefici sono molteplici – commenta Stefan Hohaus, ematologo del Policinico Gemelli – Intanto minor tempo di permanenza in ospedale da parte del paziente e del suo accompagnatore, poi ridotto tempo di impegno per il personale sanitario, liberando risorse umane per altri compiti; quanto all’efficacia e sicurezza dei due farmaci per via sottocutanea, sono state dimostrate in molteplici studi e sono risultate equivalenti alla somministrazione endovena”.
Simile è l’osservazione di Alessandra Cassano della Fondazione Policlinico universitario Gemelli di Roma: “Da oncologa e da donna, ritengo che poter offrire alle pazienti una soluzione di cura che permette loro di conciliare il momento della cura con l’attività lavorativa e la routine quotidiana sia un valore clinico e sociale cui possiamo e dobbiamo tendere tutti. Senza dimenticare che la somministrazione sottocutanea di questi farmaci è maneggevole e di breve durata, e permette di ridurre i costi di somministrazione e di ottimizzare il tempo del personale dedicato”.
E’ un elemento importante da sottolineare, dato che i costi economici e organizzativi legati alla somministrazione dei farmaci impattano in modo rilevante sulla gestione delle strutture ospedaliere dedicate al trattamento delle malattie oncologiche ed onco-ematologiche. “Quello che cambia in modo clamoroso è il tempo che impiegano gli operatori sanitari a preparare il farmaco prima e ad assistere il paziente poi – precisa Vito Antonio Delvino, direttore generale dell’Istituto tumori Giovanni Paolo II Irccs di Bari – Una somministrazione sottocutanea che dura 5 minuti si traduce in 5 ore in meno di lavoro per infermieri, medici e farmacisti per ciascun paziente, tempo che può essere dedicato all’ottimizzazione delle risorse. La breve permanenza in ospedale comporta minor impegno per il paziente e il suo accompagnatore. A questo si aggiunge la maggior compliance del paziente al trattamento”.
Il Report Hta 2017 conferma dunque la validità delle formulazioni dei farmaci sottocute per il tumore al seno e per il linfoma non-Hodgkin, come alternativa alla formulazione endovenosa non solo in termini di migliore gestione dei tempi, ma anche di minori possibili complicanze legate alla somministrazione.
In collaborazione con AdnKronos
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