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Manca un giorno all’inaugurazione di Expo 2015, ma fra le cose che non vanno in termini di organizzazione c’è anche il presunto “flop” del progetto “Expo friends”, un protocollo firmato Confcommercio per accogliere i turisti parlando principalmente in inglese e che prevede consulenza sulle attrazioni locali, informazioni sulla cultura, offerta di menu culinari in diverse lingue, il tutto condito da sinceri sorrisi e gentilezza.
Principalmente è una questione di prezzi: per un caffè in centro si pagano 3,5 euro, una birra in zona Brera arriva fino a 10 euro, se la consumazione avviene al tavolo poi il costi lievitano e non tutti i locali permettono di utilizzare la toilette “al prezzo della consumazione”, richiedendo qualche euro extra per l’usufrutto.
Ah, il Wi-Fi!
Quanto ci piace poter rimanere connessi ovunque, in qualsiasi momento. Peccato che all’avvento di Expo non sia ancora disponibile gratis in molte zone della città, per non parlare della qualità del segnale qualora se ne trovasse una “open”. Questo non è un dettaglio da trascurare, perché gli smartphone non sono solo social network e frivolezze, ma anche un’occasione per diffondere notizie, cultura e magari anche mappe della città. Insomma potrebbero venire sfruttati come strumento per la promozione di Milano, ma finchè non troveremo nemmeno servizi igienici all’altezza di una metropoli o più accessi ai locali tramite rampe mobili per i disabili non possiamo pretendere un servizio telematico così efficiente.
Milanesi friendly
Il Salone del Mobile però ha rappresentato una sorta di controtendenza rispetto all’amarezza che alberga nei commenti di molti turisti che si vedono proporre un’insalatona alla modica cifra di 21 euro, solo perché mangiata in Duomo: sembra che in realtà conti di più la cordialità, l’accoglienza, piuttosto che la conoscenza della lingua inglese e nessuno fa riferimento ai prezzi esposti fuori dai bar (pochi, solo in centro).
Sarà che subisce il fascino italiano, sarà che il Duomo di Milano con la sua dorata Madonnina abbaglia i più.. non sappiamo spiegarci insomma come possa un turista lasciarsi convincere da un sorriso a pagare per un caffè “americano” (e qui le virgolette non basterebbero, perché da noi la maggior parte delle volte è un caffè in tazzina letteralmente annacquato) 8 euro, in un department store del centro città.
Il lavoro ai tempi di Expo
Forse non è questa la giusta sede per discuterne, ma non possiamo tralasciare la questione “lavoro”. Quanti ragazzi si sono sentiti dire “Adesso che c’è l’Expo porta il cv in giro che magari trovi impiego”? Ecco, molti di questi l’hanno fatto e tuttora si ritrovano con le mani in tasca, mani che magari si sporcherebbero molto volentieri. Perché? Mistero. O forse no: se non ha già avuto esperienza lavorativa, nonostante tu sia magari laureato o conosca bene l’inglese, molto probabilmente non verrai ricontattato (soprattutto nei negozi di marca).
Che sia una scelta dettata da un sistema “vendite” che non può permettersi di fallire nemmeno una volta, nemmeno con un solo cliente, non è una novità, però pensiamo sia corretto nei confronti di tanti ragazzi e ragazze che vediamo girare in questo periodo per il centro di Milano in cerca anche solo di un part time nel weekend, quantomeno non illudere di chissà quali possibilità di carriera (e in questo caso anche di impiego).
Un esame di coscienza
Insomma, a conti fatti anche su questo fronte c’è ancora da fare. Speriamo che le continue critiche all’organizzazione Expo e alle sue promesse possano spronare chi di dovere a prende in mano la situazione e magari farne tesoro anche per il futuro, perché questa potrebbe essere l’occasione giusta di cambiare la città.
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