E’ San Francesco il protagonista del romanzo Tutta la luce del mondo, di Aldo Nove, edito da Bompiani: un personaggio che, a scapito dei secoli trascorsi, continua a suscitare curiosità negli scrittori moderni. Qui il narratore lombardo lo racconta con uno stile e un approccio inediti, consapevole di quanto già sia stato detto e ridetto su di lui. Sceglie allora il punto di vista del nipote Piccardo, che si cala dentro la realtà del Medioevo come farebbe qualunque bambino, senza filtri e con fiducia; la beve e la fa propria per poi lasciarne emergere ogni aspetto caratterizzante: la morte, la vita, le favole e il paradiso, i mostri e le credenze. Lui, Francesco, è lo zio stravagante e un po’ pazzo – “Tu sei scemo come tuo zio”, gli gridano i bambini di Assisi – eppure magico anche lui, come tutto ciò che lo circonda. La sua è una figura capace di suscitare nel nipote sentimenti contrastanti: da una parte c’è l’opinione comune e quella della famiglia, che ne percepisce soltanto l’imbarazzo; dall’altra c’è l’attrazione per ciò che, in un mondo tutto uguale, appare diverso e incomprensibile, tanto che a un certo punto Piccardo decide di inseguirlo nella realtà oltre che nella fantasia.
Lo stupore è l’altro grande protagonista del libro. È attraverso la chiave dello stupore, e della meraviglia, che il nipote del santo ci racconta una storia, così da farla apparire una storia speciale in un contesto altrettanto speciale. Ma è anche lo stupore di Francesco di fronte alla verità ed è soprattutto quell’impulso a scoprire il creato con occhi puliti e accoglienti che oggi per buona parte è andato perso. Che sia un’epoca troppo evoluta, la nostra, che sia la voce della maturità e o quella del pensiero critico, sta di fatto che alle magie non ci crede più nessuno, e con esse sparisce anche la luce. Tutta la luce del mondo.
D’altra parte, non che Aldo Nove ci presenti il Medioevo come un’età tutta rose e fiori, un idillio non era di certo: “La vita dura poco – dice Piccardo – È dura, estremamente dura, sempre. Lo impari da subito, quando le tue mani insicure toccano il legno per la prima volta e sentono che non è accogliente come il corpo di tua madre”. Anche questo è, in un certo senso, un romanzo duro, che non la manda a dire. Non è stata una favola la vita di Francesco, ma un sacrificio. La povertà è sacrificio, così come lo è la solitudine, e non meno la verità. C’è l’amore, però c’è anche il male; c’è il paradiso, lassù da qualche parte, ma c’è anche l’inferno, ed è più reale del reale. Perché in fondo, dice lo stesso Aldo Nove, “il Medioevo era un mondo bambino”. Ed è con gli occhi del bambino che ad esso lo scrittore sceglie di guardare.
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