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L’Irlanda del Nord conta su 1.8 milioni di abitanti dei quali 260.000 vivono a Belfast: be’, non è eresia pensare di aver visto dai finestrini dell’auto buona parte dei circa 1.5 milioni rimasti. Il Giro d’Italia 2014 irlandese/nordirlandese sta riscuotendo un successo strepitoso qui, con il calore della gente che va a compensare con la temperatura più che fresca del periodo e con il gelo (figurato) della vigilia. Se devo essere sincero, ieri non ero molto fiducioso perché la capitale mi sembrava un po’ troppo disinteressata e al tempo stesso il Giro sembrava stesse pigramente aspettando di tornare in e di Italia e che fossse venuto fin quassù solo per staccare il sostanzioso assegno e ripagarsi buona parte delle spese. Invece siamo stati accolti da una marea rosa.
Ieri sembrava quasi che i nordirlandesi fossero come quei tori con capelloni anni ’70 che si incontrano nelle campagne qui nei dintorni: ti fissano con sguardo a metà tra l’annoiato e il sospettoso e hai come la sensazione che possano attaccarti da un momento all’altro con una bella testata. In realtà (sia i tori sia i nordirlandesi) non aspettano altro che godersi un po’ di spettacolo. E se non c’è poco importa: la seconda tappa del Giro è stata leggermente soporifera con i fuggitivi lasciati andare ai 3 km e ripresi ai -3km dal traguardo con il drammatico gioco del gruppo che gioca al gatto col topo lasciando i coraggiosi allo scoperto finché vuole, per poi riassorbirli quando già sentono profumo di vittoria.
E così il grande spettacolo si è visto a bordo strada: un numero impressionante di persone si è assiepata lungo il cammino dei girini, riempiendo i i due lati del percorso a ogni villaggio, salutando con entusiasmo (e un evidente stato di ubriachezza) e calore sia i ciclisti sia il seguito. La costa nordirlandese è un frattale che si ripete e si ripropone per intero a ogni porzione che si isola. Quella curva è come quell’altra curva e quella ancora. Piove ogni 5 minuti poi c’è il sole, si perde e guadagna speranza in pochi respiri. Il GPM più alto era a meno di 300 metri di altitudine, ma da quella “vetta” abbiamo potuto fiondarci nella natura selvaggia irlandese.
Basta incamminarsi per due passi dopo la strada e le scarpe vengono risucchiate in una zuppa di terreno, piccoli arbusti e tanta acqua e così si capisce subito perché la vegetazione è così verde e rigogliosa. Lungo la statale i propri penseri si mixano col paesaggio e con gli animali allo stato semi-brado, prendendone in prestito forma e sostanza. Quella pecora laggiù è la tua prima estate da solo con gli amici, quel cavallo che si gratta la schiena sull’albero è l’attimo prima di consegnare il foglio dell’ultimo esame mentre quell’agnello addormentato col muso su un tronco, be’, è semplicemente un agnello fortunato ad essere sopravvissuto alla Pasqua.
E così salutiamo la monumentale ciminiera che accarezza i 200 metri sopra la centrale di carbone di Kilroot e ce ne andiamo verso Sud, verso Dublino, verso l’Irlanda non del nord, verso l’aeroporto che poi ci porterà in Italia, con il sorriso sulle labbra per un’accoglienza davvero lodevole. Migliore di tante località italiane.
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