Il Festival di Sanremo 2023 è ufficialmente e finito ed è ora di tirare le fila di tutto ciò che è successo in queste lunghe cinque serate della kermesse. Ecco tutto quello che è successo.
Ancora una volta Amadeus ha portato a casa il suo Festival di Sanremo, arrivato alla quarta edizione condotta da lui. Tra gaffe, gag improbabili, polemiche e per fortuna tante belle canzoni, Sanremo 2023 porta con sé tante cose, belle e meno belle.
Come ogni anno, alla fine della manifestazione si riflette su quello che abbiamo visto, su cosa ha portato di più dell’anno prima e su cosa ricorderemo per gli anni a venire. Ecco il nostro riassunto.
Cosa ricorderemo di questo Sanremo 2023? Di certo, le tante canzoni memorabili che abbiamo ascoltato, da “Due vite” di Marco Mengoni, a “Supereroi” di Mr. Rain e “Tango” di Tananai, che quest’anno ha avuto il suo riscatto, il ritorno di Paola e Chiara con “Furore” e tantissime altre.
Ma non sono le uniche cose che sono rimaste impresse, anche perché lo sappiamo quello di cui più si parla ogni volta sono le tante polemiche sorgono attorno alla gara.
In primis, si è parlato tanto di Anna Oxa, in gara con “Sali (Canto dell’anima”, che essendo diva qual è ha fatto parlare molto della sua poca cordialità, con qualche incidente di percorso raccontato da altri e smentito dal suo ufficio stampa.
Polemiche anche su Fedez e sui testi delle sue canzoni, presentate a bordo della Costa Smeralda, che ha tirato su un polverone per via delle sue opinioni chiare e dirette sia verso la politica italiana che nei confronti del Codacons, con il quale è in eterno conflitto.
Si è parlato anche di “Morandi Gate”, ovvero del fatto che Gianni Morandi, co-conduttore di Amadeus, sia stato troppo trascurato sul palco dal direttore artistico, altre voci però smentite dallo stesso protagonista.
Giorgia ed Elisa che alla serata delle cover non hanno vinto, con il loro duetto su “Di sole e d’azzurro” e “Luce, tramonti a Nord Est”, davvero scandaloso.
Il bacio tra Fedez e Rosa Chemical sul palco durante la finale, che farà parlare per le settimane a venire.
C’è stato anche il caso “pacco bomba”, ritrovato a poca distanza dal Teatro Ariston, un colpo di scena da brividi risolto però in poco tempo.
Insomma, tanto da dire soprattutto perché le serate anche in questo Sanremo 2023 si sono rivelate davvero lunghe.
Quest’anno Amadeus ha deciso di invitare sul palco dell’Artison come co-conduttrici Chiara Ferragni, Francesca Fagnani, Paola Egonu e Chiara Francini.
Quattro personalità diverse, quattro donne dalle professioni totalmente opposte, che ogni sera sono salite sul palco affiancando i due conduttori.
Chiara Ferragni è stata protagonista durante la prima e l’ultima serata del Festival: la sua presenza è stata, sicuramente, molto apprezzata dalla fascia più giovane, che si è avvicinata alla manifestazione solo da pochi anni, come rivelano diverse statistiche.
L’influencer e imprenditrice non fa di certo questo mestiere, ma nonostante questo sul palco più particolare d’Italia ha fatto una buona figura, portando un messaggio molto chiaro anche tramite i suoi look molto apprezzati: la libertà delle donne.
Sicuramente, il suo monologo non ha brillato: una lettera scritta alla sua sé stessa bambina risultato forse troppo banale, ma sicuramente coerente con quello che lei è.
Durante la finale, invece, la Ferragni è sembrata più a proprio agio, la gavetta della prima serata a quanto pare è servita.
Come prima prova in televisione, Chiara Ferragni possiamo dire che è promossa, di certo non è il suo mestiere quello della conduttrice ma chissà potrebbe essere una skill da approfondire.
Durante la seconda serata, invece, abbiamo visto Francesca Fagnani, giornalista e conduttrice. Ecco, con lei già si vede la differenza con la Ferragni: molto più sciolta sul palco, sapeva quello che faceva.
Inoltre, la Fagnani ha una verve inimitabile e il suo monologo sui ragazzi del carcere minorile di Nisida ha davvero colpito: finalmente qualcuno che non parla sempre degli stessi temi e lo fa con il suo stile da giornalista, che è quello che sa fare magistralmente. Molto brava.
La terza serata, invece, ha ospitato Paola Egonu, campionessa di pallavolo. Ecco, in questo caso la scelta poteva essere diversa: non perché la Egonu non sia apprezzabile in quello che fa nella vita, anzi, grandi elogi per lei, ma non era proprio a suo agio.
Era palpabile la sua emozione, forse troppa per un palco che giustamente era davvero gigante per lei. Troppo impostata, un monologo che non ha lasciato il segno, insomma un po’ una delusione.
Passiamo, poi, a Chiara Francini: ecco lei ha spaccato, finalmente una co-conduttrice che sa quello che fa all’Ariston. Tranquilla, divertente, pronta a prendere in giro Amadeus e Morandi alla prima gaffe, padrona del palco, d’altronde è un’ottima attrice.
Lo dimostra anche con il suo monologo, che con grande vergogna della Rai arriva quasi alle 2 di notte. Una performance incentrata sulle donne che si sentono sbagliate, su tutte coloro che solo per il fatto di non essere madri vengono discriminate.
Bello, profondo, toccante, intelligente, giusto: un momento che funziona, perché a metterlo su è stata una vera grande professionista. La migliore delle quattro co-conduttrici.
Questo festival di Sanremo è stato anche politico, però, come lo è per forza uno spettacolo che monopolizza l’attenzione di un pubblico così ampio di persone e per così tanti giorni. Lo è stato prima che iniziasse, con le polemiche che sono nate per la presenza di Volodymyr Zelensky sul palco dell’Ariston o di Rosa Chemical, lo è stato durante perché per la prima volta (da sempre) in platea c’era il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, o perché è stata scelta Paola Egonu come co-conduttrice, e siamo sicuri lo sarà anche dopo.
Il festival è stato politico perché è normale che sia così, e perché la politica fa sempre parte della nostra vita, e i politici, che lo guardino o meno – sia Matteo Salvini, vicepremier e leader della Lega, sia il presidente del Senato, Ignazio La Russa, hanno pubblicamente detto di non averlo fatto – sono comunque chiamati in causa.
Poi c’è chi lo fa platealmente, come Fedez che accenna al sottosegretario Galeazzo Bignami, o alla ministra Eugenia Roccella, e poi, assieme agli Articolo 31, lancia un appello direttamente alla numero uno di Palazzo Chigi, Giorgia Meloni, a cui è stato chiesto di legalizzare la cannabis, e chi risponde solo alle critiche a modo suo, portando sul palco una voce che, invece, si vorrebbe cancellare, o almeno diciamo che nella maggioranza di governo ci potrebbe essere più di qualcuno che storce il naso perché sta là. Ne abbiamo avuto un esempio sereno con le frecciatine lanciate dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, il nostro Capitano, alla pallavolista, ma anche a Rosa Chemical. Noi siamo così, e fatene una ragione, perché c’è comunque una parte ampia di persone che ci sostiene, non ci sei solo tu.
Il festival è politico per forza quando si apre celebrando la Costituzione, forse in maniera un po’ sommaria e sicuramente non precisa da parte di Roberto Benigni, – perché, ammettiamolo, il discorso del premio Oscar non è stato chissà quale grande encomio alla nostra Carta costituzionale, che si è davvero bella, nella prima parte, ma importante nella seconda. E quell’articolo 21 che ha nominato è un diritto, sì, ma è anche un dovere per centinaia di migliaia di giornalisti che riescono ad arrivare a mala pena a fine mese, o quelli che vengono minacciati sotto casa, che hanno paura, gli stessi giornalisti con cui nessuno si schiera, e poi sono tutti a additare come il male.
È politico quando si parla delle carceri minorili e della situazione in cui versano, e non è un caso che il tema lo abbiamo portato proprio una giornalista, attenta a quello che succede, ma anche una persona che vuole informare, perché tutti debbano sapere. Ed è attuale ora che ci si scorna sul fatto che Alfredo Cospito debba rimanere o meno in regime di 41 bis. E anche qua, forse, si può capire cosa si vive dietro le sbarre, soprattutto quando sei condannato a rimanerci tutta la vita, come se non ci fosse mai una redenzione, come se non ci fosse una seconda possibilità, nella vita. Ma anche tra chi ancora non ha ricevuto una sentenza, ma non vede nulla dopo, un futuro, perché nessuno glielo mostra.
È politico quando viene dato uno spazio a un’attivista iraniana che ci racconta cosa vivono nel suo Paese, perché non possiamo stare fermi, o meglio non possiamo non sapere quello che sta succedendo dopo l’uccisione di Mahsa Amini, e qualcuno, magari, ha avuto l’occasione per approfondire quella situazione, ma soprattutto ha avuto una testimonianza quasi diretta che quello che si racconta è solo una minima parte di quello che è successo, perché ci sono drammi che non si possono raccontare, non dall’Italia.
Ma lo è quando Egonu – che sì è la migliore pallavolista al mondo, un orgoglio italiano a tal punto da essere stata una delle portabandiere olimpiche alle ultimi Olimpiadi, che ha vinto un Europeo e che ci ha portato fino alle semifinali di un Mondiale – viene ancora giudicata per il colore della sua pelle, dagli italiani, che lo sono quanto lo è lei, o forse anche un po’ meno.
Lo è anche quando si parla delle foibe, anche perché lo chiede direttamente il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, o magari era già preparato, chissà, fatto sta che, forse, quella tiratina d’orecchie è stata utile, perché era una buona causa. Quell’”altra tragedia”, che spesso si dimentica perché avvenuta dopo il tentativo fallito di sterminare gli ebrei, ha segnato la vita di migliaia di italiani.
E lo è, per forza di cose, ancora, quando si parla di guerra, specialmente quella in Ucraina, e qua, forse, la tiratina d’orecchie non ci voleva. Perché mandare il messaggio, piuttosto entusiastico, che prima o poi si vincerà e che a Kiev ci andrà, in questo, caso Mengoni, oppure mandare dopo l’inno senza manco tradurlo, be’, è un po’ troppo per non pensare che Tananai con la sua Tango abbia sensibilizzato di più l’opinione pubblica di loro.
Quindi sì, tutto sommato non è andata male, a parte il poco spazio alla causa ambientale, che ora più che mai ha bisogno di essere sposata, ma uno degli sponsor era Eni Plenitude, dunque, sì, vi capiamo, ma per il prossimo anno inseriamola, in qualche modo, giustificandovi, per l’ennesima volta, come Stefano Colletta o Carlo Fuortes che non sapevano nulla dei testi che sarebbero stati portati sul palco, come a dire: abbiamo ancora una libertà di espressione, eh sì, ragazzi, ce l’abbiamo, niente più controllo preventivo.
E sì, dicevamo, il festival politico ci piace, perché ci sveglia, lo fa soprattutto con le coscienze di chi crede che l’omosessualità sia una devianza, che il razzismo non esista nonostante si chieda ogni giorno di chiudere i porti a chi soffre e scappa. Sveglia le coscienze di chi vorrebbe far marcire isolato un anarchico in prigione. O magari non lo fa, ma fa riflettere sul fatto che il mondo non è esattamente come lo dipingono alcuni, e ci sono anche quelli che vivono male, per davvero.
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