Mara Fait è stata uccisa due giorni fa a Rovereto, colpita più volte con l’accetta dal vicino di casa. Oggi spuntano dettagli preoccupanti sulle responsabilità.
Sembra che la donna litigasse da anni con il suo killer, fino a raggiungere il terribile epilogo di ieri. I due abitavano nella stessa palazzina a Noriglio, frazione di Rovereto e ormai erano soliti discutere per ogni minimo dettaglio, anche i più futili. Mara e i suoi familiari avevano però più volte denunciato che il vicino stava diventando molto aggressivo ed erano impauriti, però chi ha raccolto quelle denunce ha sottovalutato la cosa, pensando a normali liti di condominio che possono accadere ovunque e che si risolvono alla svelta. Questa mancanza di professionalità, che ha prodotto una mancanza delle giuste misure di protezione richieste dalla donna, pesa oggi come un macigno, alla luce di quanto accaduto.
Non si danno pace i familiari e gli amici di Mara Fait, la 63enne che aveva più volte denunciato le violenze subite dal suo vicino di casa, con cui erano frequenti gli screzi da anni. La situazione stava sfuggendo di mano ma due giorni fa il tragico epilogo, la donna è stata colpita più volte con l’accetta al culmine dell’ennesima discussione.
Ora c’è tanta rabbia perché ai carabinieri tutti hanno raccontato che la situazione era gravissima e da tempo i rapporti fra la vittima e Shehi Zhyba Ilir, questo il nome dell’omicida, erano peggiorati se possibile ancora di più. Questa cosa era stata fatta presente molte volte e diverse erano le denunce per i comportamenti intimidatori e persecutori dell’uomo.
Pare che nessun provvedimento fosse stato preso nei confronti del 48enne e ora gli avvocati della famiglia della vittima – infermiera in pensione che per anni era stata caposala all’ospedale cittadino – vogliono avere giustizia per lei ma soprattutto vogliono che vengano accertate le responsabilità perché il gesto folle poteva essere evitato.
C’erano tutti i segnali che dimostravano che quell’uomo era violento, al punto che Mara aveva richiesto per lui un divieto di avvicinamento e un cosiddetto codice rosso che viene attivato per le vittime di stalking. La situazione insomma era particolarmente grave ma è stata sottovalutata dagli organi competenti, che invece dovevano proteggere la donna.
“Anni di vessazione, aggressioni e minacce tutt’altro che velate. Nulla è stato fatto nonostante si trattasse di un contesto evidente di stalking condominiale. I problemi erano sotto gli occhi di tutti e nemmeno la denuncia formale sporta dalla vittima ha mosso le autorità” denunciano i legali.
Questa denuncia era arrivata il 15 marzo, quando Mara aveva fornito ai carabinieri una ricca documentazione contenente anche i certificati rilasciati dal Pronto soccorso e le dichiarazioni del testimoni. L’uomo le aveva anche rotto il cellulare, danneggiato la macchina e altri dispetti raccontati dai residenti di zona.
La domanda di accesso alla protezione per vittime di stalking però le è stata negata dopo pochi giorni dalla presentazione perché per le forze dell’ordine Mara stava esagerando e il suo era un normale caso di discussioni fra condomini, come ce ne sono tanti altri, quindi non ritenevano che la situazione fosse così grave.
Per le autorità era compromessa l’attendibilità della 63enne in quando la vicenda veniva ricondotta in un più ampio teatro di contrasto di vicinato condominiale, questo si legge nella motivazione di rifiuto.
“Nessuna indagine né audizione dei testi o di Mara, nessuna applicazione dell’idonea protezione per la vittima, eppure la denuncia era completa di 19 documenti e l’uomo era già stato condannato in passato per fatti analoghi” denunciano gli avvocati in una nota, concludendo con la constatazione che la famiglia della vittima era terrorizzata dalla situazione e incredula perché nessuno voleva aiutarli.
I colloqui con il pm non sono serviti a nulla, la donna è stata abbandonata, terrorizzata e fra l’altro con l’anziana madre a carico, malata e affidata alla sua assistenza. Una tragedia che ha sconvolto la comunità e in realtà lascia attoniti anche noi perché il primo dovere delle forze dell’ordine è quello di tutelare i civili. Per lo meno poteva essere aperta un’indagine nei confronti dell’uomo o comunque, essere messo sotto controllo.
Era venerdì sera quando la vita di Mara Fait è stata interrotta bruscamente per mano dell’uomo che più volte aveva denunciato in anni di vessazioni continue anche per i motivi più futili.
L’operaio albanese Shehi Zhyba Ilir aveva nel suo passato altre segnalazioni per motivi analoghi ed era un uomo molto aggressivo e con un carattere ostile, in particolar modo erano tanti gli attriti con l’ex infermiera con cui da 3 anni condivideva il condominio a Noriglio, teatro della tragedia.
Un raptus violento che ha portato il 48enne a colpire più volte la vicina di casa con un’accetta, dandole il colpo fatale alla testa e lasciandola senza vita. Il delitto è avvenuto intorno alle 20 e poco dopo l’uomo – padre di famiglia – si è costituito presentandosi spontaneamente nella caserma di zona e raccontato agli agenti cosa era accaduto.
Stando alle prime ricostruzioni, Mara stava camminando con la madre sotto casa, quando l’uomo si è avvicinato colpendola a morte davanti agli occhi di quest’ultima. Questa versione dei fatti è al vaglio degli inquirenti ma l’amarezza è tanta perché alla luce delle segnalazioni precedenti, l’ultima delle quali appunto qualche mese fa, la tragedia poteva essere evitata.
Sul posto, fino alla tarda notte di venerdì, hanno lavorato i carabinieri di Rovereto, la Scientifica, la Polizia di Stato e i Vigili del fuoco. Le indagini sono coordinate dalla pm Viviana Del Tedesco.
Mara Fait era conosciutissima in zona per il suo passato di caposala nell’ospedale cittadino, lavoro da cui era in pensione da alcuni anni. Lascia un figlio 13enne ma di riflesso, anche un grande trauma in chi impotente assisteva alle intimidazioni dell’uomo e alla mancanza di protezione che da tempo chiedeva.
Al vaglio degli inquirenti ci sono dei video girati dall’albanese, che documentano i litigi all’interno della palazzina ma non sono sufficienti come attenuante quando l’accusa è quella gravissima di omicidio. Anzi, ora i documenti forniti nel tempo dalla vittima sono un’aggravante della sua posizione mentre avrebbero necessitato di maggiore attenzione in tempo reale, e non ora.
Traumatizzata l’anziana madre di Mara, unica testimone oculare dell’omicidio e al momento sotto osservazione in ospedale perché fortemente provata. Potrebbe essere utile la sua testimonianza, perché per qualificare il reato è importante capire come è avvenuta esattamente l’aggressione.
Mara aveva paura e tutti lo sapevano nel quartiere, tanti quelli ascoltati dalle forze dell’ordine ma determinante sarà proprio la versione della mamma che però non è auto sufficiente e al momento non ha fornito dettagli utili alle indagini.
Gli avvocati che difendevano la donna nella procedura di richiesta di protezione, hanno sottolineato che Mara si era opposta all’archiviazione della richiesta di codice rosso per le vittime di stalking e l’udienza era fissata per settembre. Mara era terrorizzata e aveva paura, anche perché si sentiva completamente abbandonata dalle istituzioni.
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