Emergono nuovi dettagli sulla morte di Maria Chindamo, imprenditrice uccisa nel 2016, grazie al racconto di un collaboratore di giustizia.
Uccisa brutalmente, poi data in pasto ai maiali e i resti triturati da un trattore. E’ la macabra ricostruzione di un collaboratore di giustizia, dal quale racconto sono emersi nuovi dettagli sulla morte di Maria Chindamo, imprenditrice calabrese scomparsa a 42 anni. Nella retata antimafia di oggi – nella quale sono finite in manette 82 persone – sarebbe stato arrestato anche uno dei presunti killer.
Sequestrata davanti al lavoro in un agguato, uccisa e poi fatta scomparire. Dopo 7 anni emergono nuovi agghiaccianti dettagli sulla morte di Maria Chindamo, giovane donna imprenditrice brutalmente uccisa nel 2016. A fornire i particolari è stato un collaboratore di giustizia, che ha raccontato la modalità dell’aggressione e anche le motivazioni.
Maria Chindamo era un’imprenditrice agricola di 42 anni di Laureana di Borrello. La sua scomparsa è datata 26 maggio 2016, da quel giorno sulla sua morte è rimasto un grande punto interrogativo, fino al racconto di un pentito. Il sequestro della donna era avvenuto a Limbadi, nelle campagne di proprietà della vittima, che quel giorno stava proprio per entrare nelle sue proprietà quando è stata fermata. Pare da tre uomini, come si legge nell’inchiesta antimafia Maestrale-Carthago, chiesta dalla Procura di Catanzaro che ha portato a 84 custodie cautelari.
In manette, secondo quanto si apprende, sarebbe finito anche uno dei presunti killer della donna, Salvatore Ascone. Tra gli arrestati ex politici, dirigenti, avvocati, e anche Ascone che era già stato arrestato e poi scarcerato dal Riesame. Le accuse dei magistrati della Procura erano quelle di avere omesso dei video di sorveglianza della sua abitazione con la finalità di impedire la registrazioni delle immagini delle telecamere che erano puntate verso l’ingresso della proprietà della vittima – luogo del sequestro nel 2016 -.
Dal racconto del collaboratore di giustizia dunque i dettagli dell’esecuzione ma non solo; la donna sarebbe stata uccisa per aver dimenticato il marito morto troppo in fretta ed essersi mostrata con il suo nuovo compagno.
Secondo il racconto del pentito, Emanuele Mancuso ex esponente del clan di Limbadi adesso collaboratore di giustizia, la donna sarebbe stata fatta fuori un anno dopo esatto dopo il suicidio del marito. Vincenzo Puntoriero si era impiccato a pochi giorno dal divorzio da Chindamo, quando la coppia aveva deciso di separarsi. L’atto considerato imperdonabile dai sicari della donna, pare sia stato quello di essersi fatta vedere in giro con un nuovo compagno, e di avere anche condiviso delle foto insieme.
Non sarebbe stata perdonata dunque la sua libertà, dalle maschiliste cosche della malavita che però da sempre hanno ostentato con i proclisia quella falsa signorilità degli uomini d’onore. “La libertà dell’imprenditrice che è stata uccisa a tre giorni dalla foto postata insieme al nuovo fidanzato sui social” dice il procuratore Gratteri.
Ma i clan avevano anche altre “motivazioni”. Non poteva passare l’idea per i clan che lei, una donna da sola, potesse gestire i terreni della famiglia dell’ex marito – sulle quali aveva messo gli occhi la ‘ndrangheta -. Inoltre, l’imprenditrice aveva sempre tenuto fuori i clan dalle sue attività agricole.
Trame che hanno portato a detta di Mancuso alla decisione dell’esecuzione. Prima ebbe luogo il rapimento, studiato nei dettagli, davanti all’ingresso della sua azienda. Sapevano, i rapitori, che la donna avrebbe aspettato quel giorno degli operai per lavorare all’interno della sua proprietà. Chindamo forse conosceva i suoi sicari. All’inizio non si era insospettita, racconta il pentito. Nel divincolarsi dalla morsa dei rapitori venne ferita, come risulta da alcune tracce di sangue trovate nel Suv. Ma altre tracce finirono sulle pareti del muro della proprietà. Dopo l’uccisione il corpo venne fatto sparire, i resti dati ai maiali e triturati dai trattori.
Una punizione, come spiega ancora Gratteri, frutto del risentimento in quanto donna. E le dinamiche dell’omicidio spiegano tutta la rabbia di chi ha ordinato quell’omicidio: “Lei non si poteva permettere il lusso di rifarsi una vita, di gestire in modo imprenditoriale quel terreno e di poter curare e fare crescere i figli in modo libero e uscendo dalla mentalità mafiosa“.
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