Scorre ancora sangue in Amazzonia: dopo la morte violenta qualche mese fa di Edwin Chota, leader del movimento contro la deforestazione di uno degli ultimi polmoni del pianeta, hanno ucciso Eusebio, indigeno della tribù Ka’apor dell’Alto Turiaçu, nello stato brasiliano del Maranhão, anch’egli personaggio scomodo per le sue battaglie a difesa della natura. L’omicidio sarebbe avvenuto domenica scorsa, secondo quanto riferisce Greenpeace, che ha diffuso la notizia della sua dipartita.
Gli speculatori che vorrebbero mettere le mani sulla foresta amazzonica non paiono fermarsi di fronte a nulla: sin dal 2008, se non ancora prima, denuncia sempre Greenpeace, i Ka’apor hanno fatto presente alle autorità di aver ricevuto minacce dalle imprese responsabili della deforestazione, ma il loro grido d’allarme è rimasto inascoltato. La morte di Eusebio è giunta fino in Occidente, toccando il cuore di tutti coloro a cui stanno a cuore le tematiche ambientali, e che non potevano non ammirare il suo coraggio nell’affrontare questa battaglia di legalità, civiltà e giustizia. Le attività criminali in Amazzonia proseguono incessantemente, e a poco servono gli interventi delle autorità, che finora si sono limitati solo a sporadiche ispezioni che hanno al massimo rallentato le attività illecite.
A partire dal 2013, stufi di aspettare un intervento più deciso e radicale da parte del governo, i Ka’apor hanno iniziato un monitoraggio indipendente delle foreste che evidentemente ha dato e sta dando molto fastidio a chi persegue interessi criminali: le aziende coinvolte nel taglio illegale degli alberi sono state cacciate, ma in cambio la tribù ha dovuto iniziare a fare i conti con minacce, rappresaglie, ritorsioni. Ed ora anche la morte di uno dei suoi attivisti più conosciuti dentro e fuori i confini brasiliani, Eusebio. ‘I Ka’apor cercano di difendere il loro territorio, ma sono soli, senza sostegno da parte del governo, che dovrebbe impegnarsi invece a far rispettare la legge‘, ha dichiarato Madalena Borges del Consiglio Missionario Indigeno di Maranhão, mentre Chiara Campione, della campagna foreste di Greenpeace Italia, in un’intervista all’Ansa ha spiegato la difficile situazione che vive l’Amazzonia, in cui i Ka’apor si trovano isolati dalle istituzioni contro i criminali: ‘Quello che incoraggia le imprese a rubare il legname dalle terre indigene è il fatto che la refurtiva possa facilmente essere spacciata per prodotto legale e venduta, anche sul mercato internazionale, senza problemi. Questo genera conflitti sociali e talvolta persino omicidi‘. E i numeri dimostrano drammaticamente come gli ambientalisti stiano perdendo la battaglia: solo nella terra indigena dell’Alto Turiaçu sono stati persi 44mila ettari di foreste, l’8 per cento dell’area complessiva, a dispetto degli sforzi per contrastare la deforestazione.
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