La situazione in Ucraina sta allarmando il mondo intero, e non si tratta di un mondo solo politico ma soprattutto economico (per chi ancora crede che le due cose possano in qualche modo essere divise). Se consideravate fino a questo momento l’Ucraina come una remota zona tra L’Europa e la Russia avete fatto un tremendo errore di valutazione sullo scacchiere del mondo, perché proprio qui è ben radicato l’interesse che ha spinto da sempre il motore della guerra: l’approvvigionamento d’energia. E non si tratta di energia di seconda mano: l’Ucraina è attraversata dalla principale arteria del trasporto di petrolio russo verso il vecchio Continente, quello che è comunemente chiamato l’oleodotto dell’Amicizia. Se questo nome può far sorridere, meno divertenti possono essere i risvolti legati a una possibile situazione d’instabilità di un territorio chiave come quello ucraino.
Sono ben 1490 i chilometri dell’oleodotto che attraversano il territorio dell’Ucraina, seconda per superficie donata a questo oleodotto solo alla Bielorussia, imbattibile con i suoi 2910 chilometri. Il ramo meridionale attraversa quindi il territorio di Viktor Ianukovich. Petrolio quindi ma anche gas. Proprio lo scorso novembre, l’uomo ucraino considerato spesso come “uomo di Putin”, tuonava una sua possibile indipendenza energetica, grazie all’accordo da ben 10 miliardi stipulato con la Chevron: «Gli accordi con Shell e Chevron ci consentiranno di avere la piena sufficienza in gas entro il 2020 e, in uno scenario ottimistico, addirittura ci permetteranno di esportare energia». Cosa ne avrà pensato Putin di questa possibilità? Le frizioni con Mosca erano già nell’aria proprio pochi mesi fa con la cara bolletta che la Gazprom aveva recapitato all’Ucraina: il colosso russo aveva ricevuto “solo” 9 milioni dalla Naftogaz Ukraine, degli 882 milioni di dollari richiesti. Spiccioli, liquidati con una stizzita risposta del portavoce Sergei Kupriyanov: “solo una goccia nell’oceano”, l’aveva definita. Ma le voci di una possibile guerra energetica erano state messe a tacere dal primo ministro russo Dmitry Medvedev. Continuando con le cifre, il debito ucraino del gas, con l’inasprirsi delle lotte, si aggirerebbe comunque intorno ai 1,55 miliardi di dollari.
E adesso, cos’è cambiato? Gli interessi economici dell’energia sono in continuo movimento. Negli ultimi anni, due parole hanno cominciato a prendere sempre più piede: shale gas. Altro non è che il gas da argille, ovvero gas metano estratto dagli scisti bitumosi attraverso un’operazione detta fracking, creando microfratture nella roccia che lo racchiude. Il processo prevede l’utilizzo di acqua e additivi. La “nuova età dell’oro” di questa fonte d’energia ha fatto sì che un paese come gli Stati Uniti passasse dal ruolo d’importatore di metano a esportatore, facendo crollare i prezzi di quello “convenzionale”. Questa tecnica, in Europa testata soprattutto in Polonia, è stata criticata da più parti per la possibile contaminazione dell’ambiente a causa delle sostanze tossiche presenti nell’acqua per le operazioni e la fuoriuscita di metano, una delle principali cause dell’effetto serra, senza contare i possibili terremoti ad esso legati. Tecnicismi e salvaguardia ambientale a parte, sembra proprio che l’Ucraina abbia grandi risorse di gas estraibili con il metodo del fracking, e ne è una prova proprio l’accordo con la Chevron per questo tipo di gas.
L’attuale confusione anche diplomatica legata alla situazione in Ucraina e alla conquista russa della Crimea, sta anche e soprattutto negli interessi economici che legano il vecchio continente alla Russia di Putin: non è sbagliato dire che gli idrocarburi tengono praticamente in ostaggio le potenze occidentali al di qua di Kiev. Per guardare anche in casa nostra, il basso profilo del nuovo governo Renzi potrebbe essere un velato terrore di perdere i buoni rapporti di questi anni con il colosso ad est, grazie agli scambi portati avanti soprattutto da Silvio Berlusconi, da sempre amico del Presidente russo. Se vi sembra poi un caso la presa di Sebastopoli, come sottolinea in modo emblematico un grafico del Sole24ore, è giusto ricordare che Mosca possiede pochi porti con acque abbastanza profonde per ospitare navi militari. Insomma, cercare di ridimensionare “la voglia d’Europa” delle piazze ucraine, portando il discorso su un più pratico lato economico, condito d’interessi globali nell’approvvigionamento d’energia, anche se cinico, potrebbe risultare drammaticamente realista.