Domenica intorno alle 13:25 a Panjin, in Cina, un impianto chimico è esploso. Le autorità stanno attualmente lavorando per poter contrastare le fiamme, che continuano a divampare, ed eliminare il fumo nero denso che ad oggi continua a sovrastare tutta la zona circostante.
Da domenica del fumo nero denso sovrasta la città di Panjin (nella provincia di Liaoning, a est di Pechino, nel nord-est della Cina insomma). Questa scena ha un sapore di “già visto”: sono passati ormai più di 36 anni, la location è cambiata, nel mezzo una pandemia e una guerra ancora in corso, ma quella nuvola scurissima, mista a fiamme incontenibili, è tornata. Sì, stiamo parlando di Chernobyl e no, le due esplosioni non sono affatto uguali, anzi non potrebbero essere più diverse, ma le conseguenze in entrambi i casi potrebbero essere davvero pericolose. E non vanno sottovalutate neanche in questo caso.
Domenica, 13:25, Panjin (città nella provincia di Liaoning, a est di Pechino, nel nord-est della Cina insomma). Esplode un impianto chimico e la nuvola di fumo è talmente ampia che nella nostra mente non può che ritornare un altro caso: quello di Chernobyl. Sia chiaro, i due casi sono del tutto diversi tra loro: in quel caso ad esplodere fu la centrale nucleare, anche se di fatto non fu una vera e propria esplosione nucleare – cosa che sarebbe accaduta invece nel caso di una bomba atomica – ma fu una reazione scaturita dall’eccessiva pressione del vapore dovuta a sua volta all’aumento improvviso della temperatura del nocciolo (cioè il nucleo) del reattore.
Ma, guardando le fiamme e il fumo denso nero che dal complesso dei macchinari si alza e raggiunge il cielo, invadendo completamente strade, case e tutta la zona circostante, il collegamento sembra quasi partire in automatico. Come se tutto riportasse la nostra mente all’ormai lontano ’86, le cui conseguenze però sono arrivate praticamente fino ai giorni nostri.
L’impianto in questione si chiama Panjin Haoye Chemical Co., Ltd. ed è una società fondata nel maggio 2012, che produce olio raffinato nazionale e asfalto stradale di alta qualità. Attualmente si contano 2.500 dipendenti e, stando al bilancio delle vittime, comprendiamo subito che poteva andare davvero peggio.
Non è questo il primo caso analogo accaduto in Cina. Già nel 2019 – quindi neanche quattro anni fa – vi era stata un’eslposione nell’impianto chimico di Tianjiayi a Yancheng, nello Jiangsu, una fabbrica chimica nell’est della Cina, tanto forte da essere collegata alla scossa sismica di magnitudo 2,2 della scala Richter verificatasi successivamente nella zona. All’epoca l’esplosione registrò circa 50 morti, più 90 feriti e portò all’arresto dei dirigenti dell’impianto.
Questa volta il bilancio delle vittime è meno drammatico, anche se sembra una contraddizione in termini parlare di vittime e di situazione meno drammatica, ma guardando i numeri precedenti capiamo subito che sarebbe potuta andare molto peggio. Attualmente le vittime accertate sono due, a cui si aggiungono però i 34 feriti e i 12 dispersi.
Ma cos’è accaduto davvero? Pare che l’esplosione si sia verificata durante lavori di manutenzione (e anche questo fa comparire nella nostra mente subito l’immagine di Chernobyl, in cui tutto partì durante alcuni test, atti ad ottenere l’omologazione definitiva dell’intero impianto). Ma cosa sia andato storto – perché, di fatto, qualcosa deve essere andato storto per forza, visto quello che è accaduto – ad oggi non ci è dato saperlo.
Le autorità cinesi, però, fanno sapere che “l’incendio scaturito dall’esplosione è attualmente sotto controllo e le fiamme rimanenti sono in fase di combustione stabile”. Ad oggi, però, sono ancora in corso le operazioni finalizzate a contenere le fiamme e la succitata nuvola di fumo denso. Il problema però è il seguente: qualsiasi esplosione chimica può dare vita a conseguenze estremamente dannose per l’ambiente e per le persone. Bisognerà quindi capire cosa accadrà nel breve e nel lungo periodo.
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