Una giovane studentessa originaria di Messina, di 23 anni, è stata aggredita e violentata, ieri, poco dopo la mezzanotte, nella sua residenza in un campus universitario vicino al Politecnico di Torino. È stata lei a fare entrare il suo aggressore nella stanza, convinta che si trattasse di un suo amico.
A provare a fare luce sulla vicenda, che arriva pochi giorni dopo la denuncia di un’altra studentessa, stavolta della Sapienza, che è stata violentata tra mercoledì e giovedì in un angolo isolato del reparto di urologia del Policlinico Umberto I di Roma.
La casa, la stanza, il lavoro, l’università dovrebbero essere tra i posti più sicuri in cui stare. Eppure no, perché neanche tra le quattro mura della propria residenza si può davvero stare tranquilli. A farne le spese, stavolta e purtroppo, è stata una giovane donna di 23 anni, studentessa al Politecnico di Torino ma originaria di Messina, che ieri sera, poco dopo la mezzanotte, è stata aggredita e violentata in una residenza universitaria.
Su quanto successo sta indagando la polizia. Dalle prime ricostruzioni è emerso come la 23enne, sentendo bussare alla porta della sua stanza, credendo che fosse un suo amico, ha aperto al suo aggressore, che non si capisce come sia entrato nel campus, e che aveva già provato a introdursi nella stanza di altre ragazze.
Il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, ha parlato di “un episodio gravissimo, che ci lascia sgomenti” esprimendo poi la vicinanza e la solidarietà alla giovane. Alessandro Ciro Sciretti, invece, presidente di Edisu Piemonte, ha spiegato che non è appena è stato informato della vicenda, ha raggiunto subito la residenza per mettersi a disposizione delle forze dell’ordine e trovare il responsabile. Intanto, un gruppo di psicologi offrirà sostegno ai ragazzi del campus.
La storia della studentessa a Torino riprende, almeno in parte, quanto successo tra mercoledì e giovedì, all’Umberto I di Roma in cui Marta, una ventenne studentessa di Infermieristica, è stata violentata da un suo futuro collega in un angolo nascosto del reparto di urologia.
In un’intervista alla Repubblica, la giovane ha ripercorso i momenti più brutti della sua vita, in cui l’infermiere, la ha attirata in una stanza “con la scusa di dover fare una flebo a un paziente, ma era vuota“. Quello era il suo ultimo giorno di pratica, e quell’uomo che ha approfittato di lei, senza il suo consenso, era il suo tutor, quello con cui aveva lavorato fianco a fianco da settimane.
Sola e isolata, se non con il suo mostro, Marta ha provato a gridare, ma nessuno l’ha sentita, perché nessuno poteva farlo. E quindi la violenza, la disperazione, il sentirsi male. “Lui non mi ha lasciato andare via, non voleva che chiamassi i soccorsi. Allora mi sono inventata una scusa – ha raccontato -, gli ho detto che sarei tornata e sono scappata“.
C’è riuscita, con la forza di volontà, ma spera che queste cose non accadano. Purtroppo, sappiamo già che non è così.
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