Il presidente ungherese Orban prosegue la sua politica tradizional-conservatrice, se non propriamente reazionaria, promulgando una nuova legge che rende ancora più traumatico per le donne prendere la decisone di abortire.
La nebbia cala pesante su Budapest, ma tempo ed umidità non c’entrano nulla: l’ottenebramento a cui si allude riguarda lo stato di diritto, che in Ungheria si sta sempre più erodendo per le minoranze, come le persone LGBTQIA+ e le donne (che minoranza numericamente non sarebbero, ma culturalmente purtroppo sì).
Da domani, giovedì 15 settembre, sarà obbligatorio, per tutte le donne ungheresi che hanno intenzione di avvalersi dell’interruzione volontaria di gravidanza, ascoltare il suono del battito del feto prima di prendere la decisione definitiva sull’attuazione dell’operazione abortiva.
Si esegue dunque una ecografia al cuore del feto della futura partoriente alla quale viene poi fatto ascoltare il sonoro così registrato; questo in quanto diviene obbligatorio per il medico curante fornire alle donne una prova delle funzioni vitali del nascituro.
Naturalmente la misura viene propinata quale elemento volto a dare piena consapevolezza di scelta alla donna, ma è palese il retroterra paternalistico e maschilista.
La scelta di abortire non è certo una decisione che viene presa a cuor leggero dalla maggior parte delle donne ed il trauma resta quale cicatrice nascosta nell’animo.
Ritenere che qualcuno che sta facendo sviluppare la vita dentro sé abbia bisogno di ascoltare per pochi secondi un cuore che batte per rendersi conto che effettivamente quello che si porta in grembo è un futuro essere vivente appare la solita becera visione di una donna incosciente, abituata a lasciarsi andare ad istinti naturali di cui poi non tiene da conto le conseguenze.
Senza contare che, per gli ultraconservatori orbaniani, in ogni caso figliare è in fondo l’unica attività veramente utile del genere femminile, quindi non si comprende per quale motivo una donna dovrebbe privarsi della sua unica manifestazione di importanza nella società (a tal proposito si vedano le numerose leggi a favore della natalità).
Insomma la solita libertà di scelta dove però le opzioni tra cui si è “liberi” di scegliere sono già definite e vincolate da qualcun altro (il padre padrone statale o familiare che sia).
L’Ungheria possiede una legge sull’aborto fin dagli anni ’50: la pratica è permessa fino alla dodicesima settimana dal concepimento ed è garantita in quattro circostanze, ossia in caso di stupro, grave handicap del feto, pericolo per la salute della donna e difficile situazione economica che non assicura una vita dignitosa al nascituro.
Orban prosegue, una legge dopo l’altra, a picconare lo stato sociale ungherese ed i diritti delle minoranze; c’è da temere che altri suoi epigoni europei non vogliano essere da meno, naturalmente sempre per amore della vita della stirpe patria.
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