Fabio Savi tra il 1987 e il 1999 era il capo, insieme al fratello Roberto, della banda chiamata Uno Bianca. Banda che ha ferito almeno 100 persone e ucciso 23 tra Marche ed Emilia-Romagna.
Per lui il tribunale dice no per quanto riguarda il lavoro esterno in carcere.
Fabio Savi, che tra il 1987 e il 1994 era a capo – insieme al fratello Roberto – della banda che ha ferito circa 100 persone e ucciso 23 fra le Marche e l’Emilia-Romagna chiamata Uno Bianca, ad oggi si trova in carcere a scontare la sua pena ma il tribunale gli ha negato l’accesso ai lavori esterni. A rigettare l’istanza è appunto il Tribunale di sorveglianza di Milano e la Procura generale anche chiesto di poter respingere il ricorso di Savi che si trova in carcere a Bollate dal 1994 fino ad oggi. Non sarebbe stato riconosciuto dai giudici come valido, il suo percorso fino ad oggi, anche tenendo in considerazione i danni apportati nei confronti di tutte le vittime del gruppo di criminali del quale era a capo fra l’87 e il ’94.
Il capo killer era l’unico a non essere poliziotto all’interno della banda Uno Bianca ed è stato anche l’unico detenuto dall’arresto nell’anno 1994, non ha mai usufruito quindi fino a ora di benefici e la stessa sorte è spettata anche al fratello Roberto: entrambe le loro richieste di istanza sono state rifiutate. Alberto invece, che è il terzo dei fratelli Savi, si trova in Veneto ed è già da qualche anno che gode di alcuni permessi premio.
La storia di questa banda, secondo Ludovico Mitilini – ovvero il fratello di un giovane carabiniere che è rimasto ucciso il 4 gennaio del 1991 presso Pilastro di Bologna proprio dalla banda criminale capitanata dai tre fratelli Savi – è:
“Una vicenda ancora aperta per poter parlare di sconti di pena e permessi.”
Mitilini inoltre ringrazia, a nome di tutti i familiari delle vittime, la regione Emilia-Romagna che è stata sin da subito disponibile a livello economico e il procuratore Amato. Ringrazia anche Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione che non si è mai data per vinta davanti a nessun ostacolo contrario a proseguito ad aiutare le famiglie con tenacia. In più esprime tutta la sua grande soddisfazione in seguito alla digitalizzazione dei vari atti. Mitilini poi conclude aggiungendo che
“non c’è perdono per gli uomini della banda della Uno bianca che agirono con una ferocia ai limiti dell’umana pietà, macchiandosi di delitti che terrorizzarono una precisa zona del nostro Paese e sui quali gli inquirenti stanno ancora indagando, così come affermato dal procuratore Amato in relazione a due esposti.”
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