Lo stop di Donald Trump ai rifugiati e agli immigrati musulmani ha provocato caos e proteste negli Usa. Centinaia di persone provenienti dai sette paesi relegati dal presidente nella black list (Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen) sono rimasti bloccati in aeroporto. I più fortunati prima dell’imbarco, gli altri all’arrivo negli Stati Uniti. E migliaia di cittadini americani hanno manifestato contrarietà e rabbia verso il decreto sull’immigrazione di Trump.
Decreto con effetto immediato, visto ciò che è successo poche ore dopo la firma negli aeroporti. Due iracheni hanno volato per ore, attraversato l’oceano, poi all’arrivo all’aeroporto JFK di New York l’amara sorpresa: un «no, non potete entrare», e il fermo da parte dei poliziotti. «I rifugiati che erano in volo verso gli Usa nel momento in cui l’ordine è stato firmato, sono stati fermati e detenuti negli aeroporti», scrive il New York Times. Il quotidiano spiega anche che uno dei due ha lavorato per conto del governo Usa in Iraq per 10 anni. Insomma, tutt’altro che un potenziale terrorista. I loro avvocati hanno già presentato ricorso e stanno pensando a una class action. E non saranno gli unici.
Meglio è andata a cinque iracheni e a uno yemenita che almeno sono stati bloccati prima di intraprendere il lungo e inutile viaggio: le autorità egiziane li hanno fatti scendere dall’aereo pronto a decollare dal Cairo. «Quando il funzionario all’aeroporto JFK è stato informato del loro status, ha emesso un ordine con cui ha vietato loro di entrare negli Stati Uniti – ha spiegato un poliziotto del Cairo – i passeggeri, che erano accompagnati da un rappresentante dell’agenzia Onu per i rifugiati, sono stati messi al corrente del divieto ed è stato loro chiesto di fare una verifica presso le ambasciate americane che avevano emesso i loro visti».
Giudice impedisce espulsione dei rifugiati
Ann Donnelly, giudice federale di New York, è intervenuta con un’ordinanza di emergenza che impedisce di espellere i rifugiati, provenienti dai sette paesi, che siano già arrivati negli Stati Uniti. Insomma, ha ordinato che essi non possano essere rispediti a casa, ma non che debbano essere ammessi nel Paese. L’ordinanza interessa fino a duecento persone rimaste bloccate.
Proteste negli aeroporti
Tremila persone hanno invaso il JFK al grido «No al bando dei musulmani». La manifestazione, organizzata tramite messaggi e passaparola sui social, è andata avanti fino alla tarda serata di sabato. «Tu sarai il prossimo», «I profughi sono benvenuti», «No al bando ai musulmani», «Non possiamo chiudere l’America», sono solo alcuni degli slogan pro-rifugiati e contro Trump. Scene analoghe in molti altri aeroporti americani. A protestare anche i tassisti, molti dei quali musulmani, che si sono rifiutati di caricare viaggiatori davanti al Terminal 4, quello dei voli intercontinentali.
L’appello di Zuckerberg a Trump
Anche Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, è intervenuto lanciando un appello a Trump: «Siamo una nazione di immigrati, e tutti traiamo beneficio quando le menti migliori e più brillanti da tutto il mondo possono vivere, lavorare e contribuire qui. Spero che troveremo il coraggio e la compassione per mettere insieme le persone e rendere questo mondo un posto migliore per tutti (…) Gli Usa sono una nazione di immigrati e dovremmo esserne orgogliosi».