I due stati alleati, USA e Corea del Sud, hanno effettuato i lanci dopo l’ennesima dimostrazione di forza militare espressa dal leader supremo nordcoreano Kim Jong-un.
L’episodio di quest’oggi, 6 giugno, arriva a stretto giro dal test effettuato domenica dalla Corea del Nord, che da tempo vede nel comparto bellico la sua unica manifestazione di esistenza in ambito internazionale.
Domenica 5 giugno, Pyongyang ha fatto detonare 8 missili balistici a corto raggio nell’adiacente Mar del Giappone. Il gesto rientra nel tradizionale modo con cui il Leader Supremo della Repubblica Popolare Democratica di Corea, questo il titolo ufficiale assegnato a Kim Jong-un, intrattiene ed imbastisce i suoi rapporti “diplomatici” col resto del mondo.
La Nord Corea, difatti, dopo la divisione della penisola omonima in due stati all’indomani della guerra di Corea (1950-1953), vive una condizione di dittatura totalitaria ed ereditaria incentrata intorno alla famiglia Kim.
Quest’ultima, appunto, ha creato un regime totalitario che ha reso impermeabile al mondo esterno il Paese, fondando sul culto della personalità del supremo leader la coesione e la pacificazione interna.
Poiché nazione autarchica (altro escamotage della dinastia per salvaguardare il potere) i cui unici flebili commerci e scambi sono con la confinante Cina, lo Stato sedicente socialista presenta un’economia sottosviluppata che costringe la popolazione alla sussistenza (tale condizione si protrae ormai da un tempo sufficiente perché si riscontrino visivamente differenze morfologiche in altezza, carnagione e muscolatura tra le due sponde del 38° parallelo).
Come la storia delle dittature dimostra, soprattutto laddove non si riesce a generare benessere, si cerca di soddisfare il bisogno umano di dare senso a sofferenze e contesti di vita attraverso la gloria patria. Come nella più classica tragedia romantica si immagina un destino di grandezza, il cui sentiero lastricato di privazioni e dolori non è altro che il senso della stessa magnificenza di quella civiltà, di come solo essa abbia la tempra per raggiungere il fato di gloria che l’attende.
Ecco perché Pyongyang ha sempre fatto dello sviluppo bellico ed atomico il suo fine: propagandisticamente per proteggere il popolo eletto ed il suo paradiso in terra, realisticamente per impedire a Kim Jong-un e discendenti di perdere controllo e poteri esercitati in maniera assolutistica.
La riottosità del nord non è rimasta senza risposta questa volta. Stati Uniti e Corea del Sud hanno infatti controbattuto agli otto missili di ieri dello stato socialista con altrettanti vettori balistici: 7 di questi sudcoreani, uno a stelle e strisce.
La decisione è forse il frutto del contesto internazionale particolarmente incandescente che non permette a Washington distrazioni. Ciò determina il congelamento o il frettoloso disbrigo di questioni secondarie ad occhi americani, come l’operato di Kim Jong-un, il quale non ha molto altro da proporre, viste le condizioni in cui versa il suo Paese, se non queste dimostrazioni fini a se stesse.
Dal canto suo Pyongyang spera di sfruttare le tensioni proprio per ottenere concessioni, vantaggi, maggiore forza contrattuale nell’area vista proprio la mole di questioni sul tavolo per la superpotenza dall’altra parte del Pacifico.
In ogni caso il premier della Corea del Sud Yoon Suk-yeol riafferma l’intollerabilità degli attacchi, l’attenta e costante vigilanza di Seoul e la ferma severità con cui sarà affrontata qualsiasi ulteriore provocazione del supremo leader.
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