Il moltiplicarsi degli attacchi russi sulle città e le infrastrutture ucraine è figlio dei nuovi rifornimenti bellici giunti in Russia dall’Iran, cosa che sta portando Stati Uniti e l’Unione Europea ad approvare nuove sanzioni verso il Paese mediorientale.
Naturalmente i due poli dell’interscambio negano qualsiasi contatto e compravendita di armi, per cui Mosca non starebbe sfruttando armenti della Repubblica Islamica e Teheran non avrebbe mai venduto materiale bellico alla Russia, anche se le indagini sul campo dicono tutt’altro.
Il riaccendersi della guerra sui civili, espediente usato dai russi ad inizio invasione per instillare terrore nella popolazione e indurla così alla resa, è tornata a caratterizzare la conduzione della campagna militare russa in Ucraina.
Chiaro l’intento: fiaccare nello spirito un popolo che non si riesce a sottomettere sul campo di battaglia. Eppure la ripresa di questo tipo di offensiva richiede un gran numero di vettori bellici di cui i russi scarseggiavano fino a poche settimane fa.
La svolta si è avuta grazie alle forniture iraniane, alle quali si deve la presenza oggi sul teatro bellico dei temibili droni kamikaze Shahed-136. Finora di questo tipo di supporto tecnologico, in grado di trasportare per duemila chilometri fino a 50kg di esplosivo che detona nel momento dello schianto sull’obiettivo, ne sono stati acquistati circa un migliaio.
Non finisce qui: varie indiscrezioni fanno risale al 6 ottobre una intesa tra i governi di Mosca e Teheran per l’invio in Russia di missili balistici di precisione, accompagnati da nuovi stock di droni.
L’intelligence USA avrebbe inoltre scoperto la presenza nelle zone occupate dell’Ucraina, in particolare in Crimea, di addestratori provenienti dalla teocrazia sciita per curare le fasi di addestramento all’uso degli Shahed-136 e di riparazione degli stessi. Stando ad altre informazioni dal campo, gli istruttori apparterrebbero alle Guardie Rivoluzionarie, i famosi e temuti Pasdaran, bollati in molti Paesi come organizzazione terroristica.
Questa relazione sempre più stretta tra Russia e Iran preoccupa molto i governi occidentali che vivono già da tempo, Stati Uniti in testa, un rapporto travagliato con la Repubblica Islamica, alla quale sono già applicate delle sanzioni e di nuove potrebbero giungerne e breve.
Il nuovo attivismo iraniano, che sta provocando nuovi sommovimenti nell’area mediorientale (Israele sta valutando di sostenere attivamente l’Ucraina in funzione anti-iraniana), sta provocando un nuovo stop agli accordi sul nucleare, patto stipulato nel 2015 tra Washington e Teheran poi stralciato dalla presidenza Trump e da quel momento oggetto di fallimentari incontri diplomatici tra le parti per rinnovarlo.
Gli Stati Uniti riferiscono di essere pronti a mobilitare vari strumenti di pressione per dissuadere l’Iran dall’appoggio a Mosca, come nuove sanzioni o embarghi commerciali, cosa per altro già attuata a settembre quando sono state multate quattro società iraniane accusate di aver fabbricato e trasportato in Russia i droni kamikaze.
Le preoccupazioni statunitensi sono condivise da Bruxelles, la quale starebbe essa stessa pianificando l’adozione di sanzioni e blocchi commerciali verso la sedicente repubblica sciita.
Già ad inizio settimana la UE aveva concordato l’imposizione di provvedimenti punitivi verso politici e militari accusati di soffocare nel sangue le proteste della popolazione (in primis delle donne) per maggiori diritti e libertà.
Tali misure potrebbero dunque essere ampliate nel corso della settimana e potrebbero inizialmente riguardare entità politico-culturali di rilievo e solo in un secondo momento, qualora non si ottenesse un risultato concreto, colpire il ben più incisivo piano economico-commerciale.
Per oggi, mercoledì 19 ottobre, è stata intanto convocata una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel quale Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti affermeranno come le forniture iraniane violino la risoluzione 2231 delle Nazioni Unite, quella siglata nel 2015 e contenente le sanzioni comminate all’Iran.
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