Il personaggio è di certo tra i più controversi: da molti ammirato come il difensore della democrazia e delle libertà, da altri ritenuto un imperialista accaparratore. George W. Bush ha sicuramente lasciato il segno nei suoi 8 anni di presidenza a stelle e strisce (2001-2009).
La decisione indubbiamente più discussa, e forse discutibile, della sua amministrazione è stata l’invasione dell’Iraq. La seconda guerra del golfo, condotta per porre fine al regime di Saddam Hussein, ha impantanato la superpotenza d’oltreoceano per quasi un decennio, dal marzo 2003 al dicembre 2011.
Questa tuttavia non è la premessa dell’ennesimo pezzo sull’operato poco trasparente di Bush in quel periodo, o sulle più volte condannate bugie dell’allora Segretario di Stato Colin Powell, con la famigerata provetta delle armi chimiche in possesso al governo sunnita, e nemmeno si scrive per ricordare le migliaia di documenti portati alla luce da WikiLeaks sulle atrocità commesse dai soldati americani sul territorio Medio-Orientale.
L’ex presidente U.S.A. è tornato agli onori della cronaca internazionale in quanto bersaglio di uno sventato attacco terroristico da parte dell’Isis, l’organizzazione terroristica sunnita nata nel 2013 con l’obiettivo di costituire una sorta di califfato oltranzista tra Iraq e Siria.
Il nome dell’attentatore, ormai in arresto, è Shihab Ahmed Shihab, un iracheno giunto negli Stati Uniti nel 2020 e da allora in attesa per ottenere asilo nel paese anglofono.
Questi si trovava a Dallas al momento dell’arresto poiché è qui che dimora l’ex presidente repubblicano. Città quest’ultima carica di significato in quanto proprio lì vi perse la vita, sempre in un attentato tutt’oggi irrisolto, il democratico John F. Kennedy nel 1963.
Secondo le ricostruzioni dell’FBI, che ha curato l’arresto del miliziano islamico, Shihab stava attendendo dei suoi connazionali (7 persone) che avrebbero dovuto raggiungerlo attraversando la frontiera terrestre tra Texas e Messico. Questi sarebbero stati gli esecutori materiali, mentre all’arrestato competeva la sorveglianza di Bush e dei luoghi da lui frequentati, nonché il procacciamento delle armi e dei veicoli necessari all’operazione.
A tradire l’uomo nei suoi intenti omicidi alcune frasi troppo poco elusive scambiate su WhatsApp e l’azione sotto copertura di alcuni agenti dell’FBI, ai quali lo stesso terrorista avrebbe rivelato di stare progettando l’assassinio dell’ex inquilino della Casa Bianca.
Come si può facilmente intuire, il movente del gesto sarebbe la sopracitata invasione del paese di cui l’individuo è originario: l’Iraq. Shihab difatti imputa a Bush e alla sua amministrazione la condizione di perdurante povertà, sofferenza e sottosviluppo che purtroppo segna lo stato mediorientale.
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