Roberto Burioni, professore ordinario di Microbiologia e Virologia all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, è sempre stato convinto che le piazze virtuali giochino un ruolo cruciale nella condivisione di informazioni. Ecco perché dallo scorso maggio 2016 ha deciso di ‘sposare’ una missione social: condividere sulla Rete i dati della scienza sui vaccini. Oggi una ricerca mostra quanto avesse ragione, evidenziando il ruolo sempre più importante dei social nel dibattito sui vaccini.
I favorevoli ai vaccini hanno superato – sui social – i cosiddetti attivisti anti-vax. Questi ultimi sono l’8% degli utenti dei social che parlano di vaccini e, secondo le analisi svolte da ‘Voices from the blogs’, spin-off dell’università degli Studi di Milano, per un’indagine condotta per Gsk, questi utenti riescono a generare solo un 20% di condivisioni e post critici verso le iniezioni scudo.
Al contrario, i commenti pro-vax, pur contando sulla stessa percentuale di attivisti nei social (9% degli account), raccolgono un consenso che arriva fino all’80% anche fra gli utenti comuni, non assimilabili ad alcun gruppo in Rete. E anche se gli interscambi fra comunità esistono, secondo gli autori della ricerca gli antivaccinisti si confermano meno capaci di generare risposte
I dati di questa ricerca sono stati prodotti analizzando 530mila commenti pubblicati da circa 60mila utenti su Twitter e Facebook nell’arco di un anno e mezzo (settembre 2015-marzo 2017). E fotografa l’esistenza di due attive e simili comunità agli antipodi, una pro e l’altra contro i vaccini. In mezzo persistono gruppi dalle posizioni intermedie, come i follower di media generalisti o le comunità legate al dibattito politico, e un 44% di utenti comuni che non si sono schierati.
“Abbiamo osservato che gli antivaccini e scettici sono molto chiusi e autoreferenziali: c’è un ampio interscambio interno, ma non spostano le opinioni di chi non è già schierato. Tanto che i sentimenti anti-vaccino si fermano al 20% su Twitter e al 30% su Facebook”, spiega Andrea Ceron del Dipartimento di scienze sociali e politiche della Statale, coordinatore della ricerca. Dall’altro lato i gruppi favorevoli alle vaccinazioni e alcuni influencer come la sportiva Bebe Vio, generano pensieri e commenti positivi che arrivano all’80% su Twitter e al 72% su Facebook. Sul fronte no-vax i messaggi sono prodotti da utenti interni in due casi su tre (67%). Sul fronte pro, invece, solo la metà dei post proviene da utenti interni.
Una delle comunità più aperte sul dibattito sui vaccini risulta quindi quella di Bebe Vio, atleta paralimpica, testimonial pro-vaccini e protagonista della campagna ‘Win for Meningitis’: infatti il 40% degli account nella sua comunità è coinvolto nella Rete solo grazie a lei.
“Questo – evidenzia Ceron – indica che influencer come Bebe Vio e Roberto Burioni attraggono nelle discussioni anche persone che altrimenti sarebbero rimaste in silenzio e invece decidono di dire la loro vedendo rispecchiate le proprie convinzioni nelle parole di un personaggio per il quale c’è un forte coinvolgimento emotivo o che ritengono competente. I dati possono essere interpretati sottolineando che la maggioranza della popolazione online è pro-vaccini. Si tratta di una maggioranza silenziosa, che spesso viene stimolata in positivo proprio dagli influencer, ma che reagisce anche a eventi come l’epidemia di meningite in Toscana che scatena paura e ansia producendo una ulteriore crescita di opinioni pro-vaccino”.
I ‘picchi’ di sostegno ai messaggi contrari alla vaccinazione arrivano soprattutto dopo attacchi diretti e con ampia risonanza, ma le motivazioni no-vax, fa notare Ceron, non sono sempre del tutto esplicite. Per esempio la prima argomentazione è la libertà di non vaccinarsi (35,2%), mentre i pro-vax ricevono più like soprattutto quando si diffonde la paura per le malattie che si possono prevenire con le iniezioni scudo. Caso emblematico fu la ricomparsa di focolai di morbillo in Italia, ricordato da Burioni che poi commentò: “Per un virologo è paradossale diventare ‘virale’ su Facebook”.
Un focus della ricerca condotta dagli studiosi dell’università del capoluogo lombardo era sulla meningite, tema molto trattato in Rete. L’immagine associata è ansia e paura nel 27,3%. E il valore medio si alza in corrispondenza per esempio dell’epidemia in Toscana. Dall’analisi degli esperti emerge come ansia e sostegno ai vaccini si leghino fra loro e una correlazione positiva c’è anche con la quantità di informazioni divulgate dai medici.
Nonostante le bufale ci mettano poco a diventare virali, la Rete – osservano gli esperti – ha molti più anticorpi di quanto si creda. E il ‘sentiment’ positivo rispetto ai vaccini è cresciuto nel tempo. “Ma si può sempre fare di più”, afferma Ceron. Si può immaginare “una soglia di ‘immunità di gregge social'”, sulla falsariga di quella reale fissata al 95% per ottenere la massima protezione di una comunità. “Rispetto a questa meta ‘virtuale’, c’è quindi ancora una distanza da colmare”.
In collaborazione con AdnKronos
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