Tra i capolavori di Vincent Van Gogh ‘Notte stellata’ è senz’altro uno dei più celebri: un dipinto straordinario che sembra celare, al suo interno, un mistero, anzi, molto di più: una vera e propria legge matematica. Al genio artistico del pittore olandese, infatti, sembra essersi aggiunto il merito di aver visualizzato, e tradotto sulla tela, l’immagine di uno dei concetti più difficili relativi alla fluidodinamica, quello del ‘flusso turbolento’. Una nozione non solo totalmente sconosciuta al pittore – che, evidentemente, non aveva alcuna cognizione di matematica – ma che gli stessi studiosi sarebbero riusciti a tradurre in equazione solo 60 dopo.
Il genio di Vincent Van Gogh, dunque, avrebbe superato i confini dell’arte per addentrarsi, inconsapevolmente, nei meandri molto più complessi della matematica. La celeberrima opera dal titolo ‘Notte stellata’, infatti, che il pittore dipinse nel giugno del 1889 durante il suo ricovero in manicomio, sembra rappresentare, secondo alcuni studiosi, uno dei concetti più difficili della matematica: quello di ‘turbolenza’. Che cosa vuol dire? Anzitutto il principio di turbolenza riguarda il moto di un fluido dove le forze viscose, ossia la resistenza del fluido allo scorrimento, non sono abbastanza da poter contrastare le forze di inerzia.
Ora, una delle capacità più interessanti, e straordinarie, del cervello umano, è quella di riconoscere dei modelli e di riuscire a descriverli. Tra quelli più difficili c’è proprio quello che riguarda il ‘flusso turbolento’ che Natalia St. Claire, matematica statunitense, ha ampiamente spiegato prendendo come spunto l’opera di Van Gogh.
In ‘Notte stellata’, infatti, le pennellate circolari che formano il cielo, creano una serie di vortici e di mulinelli stellari che rappresentano appieno il concetto di turbolenza fluida. Questo perché per Van Gogh, così come per tutti i pittori impressionisti, la funzione della luce era fondamentale, com’era fondamentale riuscire a coglierne il movimento: essi lo facevano in modo diverso rispetto ai loro predecessori, giocando sull’intensità della luce dovuta ad un uso sapiente dei colori.
Dall’osservazione dei mulinelli di una nube di polvere intorno a una stella, dunque, alcuni ricercatori, associando lo ‘spettacolo’ celeste all’opera vangoghiana, hanno cominciato a studiare nel dettaglio il concetto di ‘luminanza’ – ossia l’intensità della luce nei colori sulla tela – nei dipinti del pittore olandese, scoprendo in esse un preciso modello di strutture fluide turbolente molto vicine all’equazione di Andrej Nikolaevic Kolmogorov che nel 1941 diede a questa legge matematica la sua forma definitiva. Digitalizzando i quadri, infatti, gli studiosi hanno scoperto che la luminosità variava ogni due pixel e dalle curve misurate per la separazione in pixel sono giunti alla conclusione, sorprendente, che i quadri dipinti da Van Gogh nei periodi di maggiore agitazione psicotica, sembrano terribilmente simili a quella che i matematici definiscono ‘turbolenza fluida’.
Insomma, oltre ad essere uno dei geni artistici più indiscussi di tutti i tempi, Van Gogh sembra aver percepito, e rappresentato – nei momenti più drammatici della sua esistenza – uno dei concetti più difficili da comprendere in natura, unendo alla sua fervida, e geniale, immaginazione, il mistero del movimento e della luce.
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