La mamma la riprendeva con il telefono mentre si provava i completini intimi nei camerini dei centri commerciali, via WhastApp poi vendeva le foto a clienti che pagavano per averle. Ogni immagine valeva 50 euro. La storia arriva dagli investigatori del pool anti violenza del commissariato di Tivoli, dopo un’indagine condotta in stretta collaborazione con la struttura protetta in cui vivevano la donna e la figlia di appena 13 anni, e con la polizia postale.
Un vero e proprio business quello creato dalla mamma. Chi voleva le foto hot doveva pagare in anticipo su una carta prepagata. Solo in quel momento, la donna inviava al suo giro di clienti le immagini della ragazzina mentre si provava i completini intimi nei centri commerciali della capitale e di Guidonia. La donna si era creata la sua platea di clienti con i primi approcci sui social network. Poi, ecco che gli affari si svolgevano tutti tramite telefono. Proprio grazie ai tabulati telefonici e ai movimenti di denaro, le autorità sono arrivate alla mamma imprenditrice.
Che, adesso, è accusata di produzione e vendita di materiale di pornografia minorile e possesso di materiale pedopornografico. Ed è indagata a piede libero. E’ stata allontanata dai figli e le è stata tolta la potestà genitoriale. La storia arriva da un contesto di estrema povertà e marginalità. L’inchiesta ha coinvolto diversi insospettabili, rintracciati sempre grazie ai tabulati telefonici. Anche loro sono indagati per detenzione di materiale pedopornografico e pornografia minorile.
Una brutta storia, insomma. Fatta da una mamma che non ha esitato a vendere la figlia, da clienti che non hanno esitato a pagare pur di avere quelle foto esclusive di una ragazzina in e senza biancheria intima. Povertà e marginalità non possono certo essere una giustificazione sufficiente. Chissà dove finivano e dove sono finite le immagini della ragazzina oltre che sui telefoni di chi pagava.
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