Prende il via oggi il Consiglio Europeo che tra il 23 e 24 giugno riunirà i capi di Stato e di governo dei Paesi aderenti a Bruxelles per definire le linee di politica interna ed estera che seguirà l’UE.
A tenere banco è, come purtroppo sempre negli ultimi mesi, la guerra in Ucraina e le sue conseguenze politiche ed economiche per il continente. In particolare oggetto di dibattito saranno il price cap all’energia e l’adesione all’UE di nuovi stati.
A livello economico e di politica interna all’Unione Europea sarà quest’oggi valutata la prospettiva di una imposizione comunitaria ai prezzi degli idrocarburi: il price cap.
Questo provvedimento implicherebbe che i 27 paesi membri, in modo compatto ed unitario (la forza della misura sta infatti nella sinergia e solidità del fronte che stabilisce l’intervento), fissino un valore massimo di spesa entro il quale sono disposti ad acquistare gas e petrolio da Mosca.
In questo modo la Russia non potrebbe “giocare” con le dinamiche inflattive tagliando i rifornimenti energetici all’Europa così da far lievitare i prezzi.
Secondo questo ragionamento, di cui Draghi e l’Italia sono i primi epigoni, Bruxelles chiuderebbe in un angolo Putin e le sue pressioni indirette: considerando che la Russia è la prima a trarre giovamento dagli scambi di idrocarburi con l’UE, da cui ricava enormi masse di denaro da reinvestire nel conflitto, fissare un prezzo massimo al quale i governi europei sono disposti a pagare l’energia vanificherebbe le politiche del Cremlino poiché il mantenimento degli indotti supererebbe di importanza il mantenimento della tensione sui flussi di energia.
Eppure non tutti la pensano in questo modo e ciò motiva la non approvazione della direttiva finora. Servirebbe difatti una unitarietà d’azione dei singoli stati UE su cui in pochi scommettono: ciò è dovuto alle diverse sensibilità nazionali verso la Russia nonché dai variegati livelli di dipendenza dagli idrocarburi moscoviti.
Per tali ragioni, e rammentando l’unanimità necessaria all’approvazione di un qualsiasi decreto, vi è scetticismo sul raggiungimento di un’intesa.
Sul tavolo del Consiglio Europeo vi saranno anche i temi di politica estera. In particolare la guerra di Putin ad est sta spingendo molti paesi ad una accelerazione verso l’UE e alle forme di protezione (economica e diplomatica per lo più) che quest’ultima può offrire.
Se Ucraina e Moldavia sembrano avviate ad ottenere lo status ufficiale di candidate, per Georgia e Bosnia-Erzegovina vi sono delle garanzie e dei parametri che debbono ancora essere forniti.
Naturalmente il riconoscimento per i due paesi ex sovietici è solo il primo passo di un cammino di riforme e negoziati lungo (nonostante la Commissione voglia provare a semplificarne degli aspetti per aumentare attrattività e forza estera dell’Unione), eppure manda un chiaro segnale a Putin sulla volontà dei rispettivi popoli di questi stati e sulla loro idea di futuro e di autodeterminazione (già il voler possedere questa seconda caratteristica li allontana dal mondo putiniano).
Questi sicuramente i due temi più di peso al centro della due giorni di incontri tra leader europei; si presume che anche l’inflazione nell’Eurozona (la BCE ha appena ritoccato in positivo i tassi d’interesse) e il punto sulla diversificazione energetica dal Cremlino saranno altri due argomenti di discussione tra i 27.
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