Era il 7 agosto 1990 quando, Simonetta Cesaroni, di appena ventuno anni, veniva massacrata con ben ventinove coltellate all’interno dell’ufficio situato in via Carlo Poma 2, a Roma.
Uccisa senza un perché, senza un apparente movente. Cancellata nella sua esistenza in un ufficio dove la giovane lavorava da qualche tempo come segretaria. Un delitto capace di scuotere il Paese intero e che sarebbe stato destinato, almeno fino ad oggi, a rimanere senza colpevole. Un cold case, appunto. Destinato a passare nella storia del nostro Paese come il delitto di via Poma.
Qualche giorno fa, all’alba dei trentatré anni da quel terribile femminicidio, la Commissione parlamentare Antimafia ha inviato un report alla Procura di Roma. Un report in cui sono indicate tutta una serie di novità di matrice scientifica che potrebbero finalmente contribuire a svelare chi ha ucciso Simonetta Cesaroni. Ripercorriamo nel dettaglio tutta la storia e analizziamo tutte le novità prospettate dalla commissione parlamentare.
Come è stata uccisa Simonetta Cesaroni?
Secondo quanto emerso dall’esame autoptico effettuato all’epoca dei fatti, Simonetta ha provato a difendersi con tutte le sue forze. Si è quindi resa conto di essere aggredita e per questo tra lei ed il suo assassino c’è stata una colluttazione. Simonetta, però, come sappiamo, non ce l’ha fatta.
Ciò perché il suo aguzzino, dopo una breve resistenza da parte della stessa, è riuscito a metterla al tappeto presumibilmente sferrandole un colpo al capo. Inoltre, la presenza di lividi riscontrata sul corpo della giovane, in particolare modo sulle anche, ha sin da subito fatto pensare ad un tentativo di violenza sessuale da parte dell’aggressore. Un tentativo fallito che ha spinto quest’ultimo, accecato da una rabbia incontenibile, a trafiggerla con ben ventinove coltellate. L’arma del delitto non è mai stata ritrovata, ma si è pensato potesse essere un taglia carte. Una tesi, quest’ultima, che però potrebbe essere smentita dal dossier della commissione parlamentare d’inchiesta.
Perché Simonetta Cesaroni è stata uccisa?
Il movente sarebbe quindi da ricondurre al rifiuto della giovane di consumare un rapporto sessuale con il suo assassino? Altamente probabile. Prima di andarsene, quest’ultimo le ha anche alzato il top sopra i seni. Simonetta era riversa in una pozza di sangue. Una mattanza. Chi le ha tolto la vita ha poi messo in atto un maldestro tentativo di ripulitura della scena del crimine, lasciando materiale ematico sul telefono dello studio e sulla maniglia della porta. Lo stesso che la commissione parlamentare antimafia chiede oggi di analizzare. A ritrovare il suo corpo, insospettita dal fatto che la giovane non rientrava, è stata la sorella di Simonetta, Paola Cesaroni.
I sospetti sul portiere del palazzo, Pietrino Vanacore
Alcuni abiti di Simonetta sono stati sottratti dopo l’omicidio. Un feticcio o il timore che potessero rivelare informazioni biologiche in grado di incastrare l’assassino?
La borsetta della donna è stata trovata rovesciata, forse nel tentativo di depistare le indagini attraverso la simulazione di un furto. Le sue chiavi, invece, sono state prese e utilizzate per chiudere l’appartamento. In questo modo, l’assassino avrebbe cercato di depistare. Difatti, intuitivamente, il suo scopo era quello di far credere di essere entrato dalla porta soltanto dopo che questa era stata aperta da Simonetta. E non di aver aperto lui con le sue chiavi per entrare. Già, perché seppur dopo trentatré anni non sappiamo chi sia l’assassino, non sembrano esserci dubbi sul fatto che lo stesso avesse l’accesso allo stabile.
Elementi non di poco conto che come prevedibile hanno fin da subito indirizzato le indagini all’interno dell’elegante edificio: il colpevole frequentava abitualmente o viveva in quel palazzo. La cerchia però era apparsa sin da subito troppo ampia. E dunque, per ridurre la rosa dei sospettati, gli inquirenti avevano confrontato il profilo genetico isolato sulla scena del crimine con alcuni dei potenziali sospettati. Dall’attività di comparazione, effettuata solo nel 2004 a seguito delle nuove tecniche, ben ventinove furono le persone escluse dalla lista di quelle attenzionate durante la prima fase investigativa. Tra di esse c’era anche il portiere Pietrino Vanacore, finito sin da subito sotto la lente di ingrandimento degli investigatori.
Ciò perché, durante l’orario nel quale si è consumato l’omicidio, tra le 17.30 e le 18.30 del 7 agosto 1990, l’uomo non era con gli altri portieri nel cortile. Ma dopo essere stato arrestato per omicidio volontario di Simonetta Cesaroni ed aver trascorso ventisei giorni in carcere in regime di custodia cautelare, è stato rilasciato per insufficienza probatoria. In effetti, la sola mancanza di un valido alibi non è, e non può essere, di per sé sufficiente per condannare qualcuno.
Pietrino, considerato poi un testimone chiave nella vicenda, venne chiamato a testimoniare nel processo a carico di Raniero Busco, fidanzato di Simonetta all’epoca dei fatti. Ma, proprio all’alba dell’inizio del processo, venne ritrovato suicida. Procediamo ancora con ordine.
Il processo al fidanzato di Simonetta Cesaroni, Raniero Busco
Nel gennaio del 2007, il nome di Raniero Busco è entrato a pieno titolo nel vortice dell’indagine. Ciò perché tracce biologiche a lui riconducibili erano state repertate sui vestiti indossati da Simonetta il giorno in cui è stata uccisa. Anche se non era stato possibile stabilire se si trattasse di saliva o altro materiale biologico. Quel che però si è rivelato sin da subito certo è che il Dna sui vestiti di Simonetta apparteneva proprio a lui.
Busco è stato processato per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà, ma poi assolto in via definitiva perché quelle tracce vennero considerate meramente prove circostanziali. Nel dettaglio, essendo Simonetta e Raniero legati da un legame affettivo, non è stato possibile stabilire oltre ogni ragionevole dubbio che quel liquido biologico fosse stato rilasciato dall’uomo durante la fase omicidiaria e non in un’epoca anteriore.
Questi dati, però, non sono stati immediatamente in grado di fugare ogni dubbio su di lui. In tal senso, a continuare ad alimentare i sospetti, ha contribuito la lesione presente sul capezzolo di Simonetta, forse un morso dell’assassino durante la fase omicidiaria.
Inizialmente, le analisi e le perizie avevano stabilito all’unanimità che si trattava effettivamente di un morso umano e che i segni dei denti potessero corrispondere a quelli di Busco. Ma questa ricostruzione venne sconfessata definitivamente nel corso del processo d’appello. Nel 2012, infatti, Raniero Busco è stato assolto con formula piena nel corso del processo d’appello. Assoluzione poi confermata in Corte di Cassazione nel 2014.
Le indagini sul delitto di via Poma verranno nuovamente aperte?
La Commissione parlamentare Antimafia ha invitato la Procura di Roma a riaprire le indagini relative a uno dei più grandi cold case italiani, vale a dire proprio il delitto di via Poma. Nello specifico, secondo la commissione in parola la possibilità di riaprire il caso si fonderebbe sull’isolamento di una nuova traccia di matrice ematica. Difatti, si tratterebbe di un campione di sangue di gruppo A positivo repertato sulla maniglia di una porta nell’appartamento dove Simonetta è stata uccisa proprio il 7 agosto di trentatré anni fa. La campionatura analizzata in laboratorio apparterrebbe ad un soggetto ignoto e non corrisponderebbe a nessuna delle persone a vario titolo indagati proprio nel corso dell’inchiesta. Inoltre, sulla scorta delle nuove considerazioni scientifiche, è al vaglio degli investigatori addirittura la possibilità che l’arma del delitto non sia il tagliacarte, come si è creduto sino ad oggi. Al contrario, l’arma utilizzata per uccidere Simonetta potrebbe aver avuto una lama più lunga ed appuntita. Paragonabile a uno spadino da uniforme.
Il cadavere di Simonetta, lo ricordiamo, è stato trovato seminudo e in una pozza di sangue. E proprio da quella pozza di sangue, ed in particolare dalla macchia repertata sulla maniglia, si potrebbe arrivare alla verità. Una verità forse troppo difficile da raggiungere trentatré anni fa quando mancavano le tecnologie e gli strumenti di investigazione scientifica che oggi abbiamo a disposizione. Ricordiamo, infatti, che l’assassino di Simonetta aveva tentato un’attività di ripulitura della scena del crimine per evitare di essere rintracciato. O forse perché, in un primo momento, perché ha anche pensato di poterne occultare il corpo, senza però riuscire a farlo. Oggi probabilmente con tutti gli errori commessi non l’avrebbe fatta franca.