Il videomessaggio di Giorgia Meloni persevera in una logica anticomunista sprezzante dei valori costituzionali antifascisti. Un populismo che con la bacchetta magica del premier trasforma i significati fondanti della Repubblica.
“La libertà non non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”, cantava spensierato Giorgio Gaber. In un videomessaggio Giorgia Meloni ieri si è espressa anche lei sul Giorno della libertà. La data di tale festa infatti è il 9 novembre, almeno così volle preso dagli incubi rossi Silvio Berlusconi con una legge, subito finita nel dimenticatoio, nel 2005.
Un discorso, quello della premier dei consigli, durato circa tre minuti abbondanti. Toni della voce esitanti oppure pacati, ma con una velocità di parole pronunciate per secondo davvero notevole. Giorgia Meloni nel suo discorso è in grado di coinvolgere con grande empatia la sensibilità degli ascoltatori, mediante un prestigio oratorio che sembra sconvolgere sensi e valori repubblicani.
Il 9 novembre 1989 è la data “spartiacque”, spiega Meloni Mosè usando un termine da Antico testamento e parlando della fine della Cortina di ferro. Meloni tocca infatti temi delicati come la “libertà”, il muro di Berlino e i totalitarismi, senza però pronunciare mai le parole “Fascismo” e “Nazismo”, nemmeno una volta. E per farlo ci vuole davvero coraggio avvinghiato a un notevole talento oratorio, talvolta decisamente “misleading“. Ma non sono da scomodare altri termini anglosassoni, né i “dispenser”, va colta però l’occasione per spiegare che nella lingua italiana la parola si traduce con “erogatori” e non “dispensatori”, come sostiene Rampelli (Fdi).
È interessante, poi, notare in che modo durante il videomessaggio Meloni parla dei regimi: “Regimi che avevano conculcato quei valori e quei diritti fondamentali che sono diventati un patrimonio comune delle democrazie occidentali, e che spesso oggi, erroneamente, tendiamo a dare per scontati”. Ma cosa vuol dire quel “conculcato”? Significa calpestare con forza, vuol dire oltraggiare oppure violare, e fin qui ci siamo almeno per chi non era avvezzo all’italianismo in voga all’epoca Meloni. Ma perché mai, poi, bisogna temere i regimi quando si fanno spallucce a Orban e il fratello Silvio scambia epistole affettuose con Putin? E se il simpatizzante Renzi se ne vola qua e là sul tappeto volante d’Arabia?
Ma continua il Meloni-discorso: “La forza e la solidità delle nostre democrazie è stata resa possibile proprio dalla fine di quei totalitarismi e dal sacrificio di tutte quelle persone che hanno lottato e combattuto, permettendoci di vivere in un mondo libero.” Qui ci starebbe un bel “antifascisti”, oppure un bel “partigiani”, perché sono loro che hanno liberato l’Italia dal fascismo con gli americani, sì anche gli americani e non gli anticomunisti.
Ma Meloni se ne viene fuori con Palach Jan: “È grazie all’esempio di giovani come Jan Palach, che diedero la vita per la libertà del proprio popolo, che oggi l’Europa non vive più sotto il giogo della dittatura”. Ma chi è Jan Palach, di grazia? Un giocatore di pallacanestro? No è un simbolo della resistenza anti-sovietica cecoslovacca, un patriota, del quale ne siamo certi, in molti non sapevano affatto niente della sua gloriosa esistenza.
I patrioti nostrani si sarebbero aspettati la citazione di un qualsiasi antifascista, al quale l’Italia aveva dedicato qualche via, come, per esempio, Lauro De Bosis. E c’erano comunque circa (molto per difetto) 44.700 partigiani morti per liberare la “patria”, che Giorgia Meloni avrebbe potuto citare. No ci voleva Palach, e sia Palach.
Un altro ringraziamento della conquistata libertà dalle dittature Meloni lo porge a un Papa: “È grazie all’opera spirituale, politica e diplomatica di un santo e di uno statista come Giovanni Paolo II”, spiega Meloni. Anche Giovanni Paolo II insomma ha compiuto il grande sacrificio per la libertà, perché diceva l’ex pontefice: “L’Europa deve respirare con due polmoni, quello occidentale e quello orientale”, un po’ come un motore ibrido di ultima generazione.
C’è da dire che l’avvento della Repubblica italiana con il referendum del 1946 non prevedeva di certo il Papa nel ‘business’ democratico e anti monarchico. Semmai prevedeva laicità, laicità e laicità, questa parola dimenticata che vollero trattare nella Carta i padri costituenti, dei quali nel Meloni-discorso non vi è traccia alcuna.
Il videomessaggio continua entrando nel punto saliente, l’anti-comunismo e la caduta del muro di Berlino. “È grazie alla folla che premeva sulle guardie di frontiera della Repubblica Democratica Tedesca affinché aprissero i varchi verso ovest e pochi minuti dopo danzava festante sulle rovine di quel muro che abbiamo potuto riabbracciare nel comune ideale europeo decine di milioni di nostri fratelli”. Ma qualcuno ha spiegato a Giorgia Meloni, che il muro è caduto perché un comunista come Gorbaciov ha voluto che il muro cadesse e non per mano di altri santi né eroi? Se fosse vivo Gorby potrebbe spiegarglielo di nuovo, ma c’è mancato poco.
Meloni insiste sulla libertà perché “La libertà è il principale valore su cui si basa la nostra democrazia, anticorpo contro ogni tentazione totalitaria”. Nessuno, di nuovo, ha spiegato a Meloni che l’”anticorpo” per i totalitarismi è uno ed è la stessa nostra Costituzione antifascista, che la sua coalizione vuole cambiare introducendo il presidenzialismo? Omissis.
Da quando in qua poi la libertà si serve dell’identità? “La libertà è un valore fondante della nostra identità italiana, europea e occidentale”, dice la presidente. Ma possiamo dire a voce alta che sì la libertà è un valore, ma la libertà rispetta chiunque a prescindere dall’identità. Proprio perché la libertà, quella vera, limiti ‘identitari’ non se ne pone affatto. Perché, per farla breve, non vuole beghe di questo tipo e vuole essere nera, gialla, bianca o rasta, vestita male o bene. Ma no, la libertà non è un presupposto di “italianità”.
Mettiamoci una croce, anzi un Croce. Meloni continua nel discorso presidenziale: “Un grande filosofo liberale italiano, Benedetto Croce, di cui tra pochi giorni ricorrono i settant’anni dalla scomparsa, che dedicò la sua vita all’amore e allo studio proprio della libertà, disse: «C’è chi mette in dubbio il futuro dell’ideale della libertà. Noi rispondiamo che essa ha più che un futuro: possiede l’eternità». Benedetto Croce però, e c’è un però, votò a favore del regime fascista e di esempi migliori e più opportuni ce ne erano, anche in questo caso, a iosa.
La libertà, invisa e dimenticata, la libertà dicevamo, è quella che abbiamo perso durante i confinamenti, di cui adesso si avvale politicamente la maggioranza. E questo ruolo di ‘garante’ delle libertà che pare assumere Meloni, peraltro corre dietro a slogan già visti nei brogliacci dei colleghi suoi. Casa delle libertà, d’altronde si chiamava la coalizione di centro destra guidata da Silvio Berlusconi.
C’è da domandarsi poi un po’ di cose. Uno: quanti altri messaggi del genere ci attenderanno? Dal debutto del neo governo il 22 ottobre, la premier ha parlato alla “nazione” più volte. Ma l’era del videomessaggio pare adesso innovativa e avvezza a fini, diciamo, molto egocentrici e cambiati rispetto al suo insediamento pacato e moderato. Il barometro della giusta presidenza si sposta.
Due: quanto consenso cerca la leader nonostante il 30 percento abbondante di cui già si avvale, gliene serve altro? Videomessagi così, accentrati sulla persona del premier, inutili in uno stato di crisi, e diretti inequivocabilmente verso un’idea di leaderismo da compiersi in maniera sempre più netta, cosa vogliono indicarci? Se desumerlo ci è lecito, allora andrebbe intravisto quello che sembrerebbe un profilo anelantemente autoritario, con cui Giorgia Meloni però sceglie di parlare dei totalitarismi e della caduta del Muro di Berlino. Ora si capisce meglio per quale ideologia ha votato una parte degli italiani, che forse non l’ aveva ben chiaro. Ma nella libertà la democrazia ci crede e quindi: «Avanti popolo».
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