Dal 31 dicembre il mondo è con il fiato sospeso per la vicenda del piccolo Ly Hao Nam, il bambino di 10 anni intrappolato in una cavità.
Il buco è largo appena 25 centimetri e profondo 35 metri e si trova in un cantiere edile nella città di Phu Loi, nella provincia di Dong Thap. Molto simile a un’analoga storia accaduta circa 40 anni fa in Italia, precisamente a Roma sud, purtroppo ha avuto un epilogo tragico nonostante i vari tentativi di salvataggio.
Il piccolo Ly Hao è sprofondato in una cavità nel terreno in Vietnam, mentre con gli amici si è avvicinato troppo ad un cantiere alla ricerca di rottami metallici. Qui si stava lavorando alla costruzione di un ponte e in quella cavità doveva essere realizzato un pilastro.
La vicenda si è svolta nella provincia meridionale del Dong Thap e da giorni i soccorritori hanno cercato di estrarre il corpo del piccolo. Non è chiara la dinamica e non si capisce ancora oggi come sia potuto scivolare in un buco così piccolo.
L’unico dettaglio chiaro è che sicuramente è scivolato da solo e non è stato spinto da nessuno, perché il momento è stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza del cantiere.
Subito sono scattate le operazioni di salvataggio in seguito all’allarme lanciato dagli amici che erano insieme a Ly Hao. Al momento della caduta era ancora vivo ma purtroppo pian piano è scivolato sempre più in fondo anche se non si sa con certezza fino a quale profondità perché le telecamere calate dai soccorritori non sono riuscite a captare né la sua immagine né la voce.
Per provare a liberarlo è stato sollevato il pilastro con l’aiuto di una gru e poi è stato ammorbidito il terreno intorno ma nessun tentativo ha avuto successo e oggi è arrivata per la famiglia la triste notizia: il bambino è morto e ancora non è stato possibile recuperare il corpo, probabilmente incastrato a una profondità considerevole.
Nonostante l’ossigeno pompato costantemente in queste ore nella cavità e il nuovo metodo utilizzato, che prevedeva di rimuovere parti di terreno, i media locali hanno annunciato oggi la notizia.
Conosciuto come l’incidente di Vermicino, l’episodio della morte del piccolo Alfredino Rampi è molto simile a quello del bambino vietnamita.
È accaduto nel 1981 nel quartiere Vermicino, a sud di Roma, dove il bambino di 6 anni è caduto accidentalmente in un pozzo artesiano e dopo 3 giorni di tentativi di salvataggio, è morto poiché il suo corpo era scivolato a una profondità di 60 metri.
La vicenda ebbe un grandissimo impatto sulla stampa e sull’opinione pubblica italiana, anche perché la Rai seguì la vicenda h24 durante i giorni delle operazioni di salvataggio, portate avanti con tantissimi volontari che inutilmente provarono a calarsi per afferrare il bambino ma le continue sollecitazioni al terreno portarono al risultato opposto, infatti scivolava sempre più in giù.
La mancanza di organizzazione dei soccorsi fece capire l’esigenza di creare una struttura organizzativa per gestire emergenze simili e quindi nacque la Protezione Civile.
Ad oggi purtroppo siamo costretti a vivere scene tragiche come quella di Alfredino, Ly Hao e ancora, Tanmay Sahu che è morto il 10 dicembre in un pozzo in India.
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