Timbrava il cartellino in mutande ma solo nei giorni festivi e solo perché l’ufficio era vicino casa. È questa la difesa di Alberto Muraglia, ormai ex vigile del comune di Sanremo, diventato emblema del caso fannulloni del comune ligure. Le immagini delle telecamere lo avevano ripreso mentre timbrava in mutande, facendo il giro dei media. Lui però non vuole passare per un assenteista: ha ammesso di aver sbagliato, ma di aver commesso solo delle “leggerezze”, confermando di essere sempre stato presente. Anche la moglie lo ha difeso, ma le sue giustificazioni non hanno fermato le sanzioni: per lui e altri sette dipendenti comunali è scattato il licenziamento immediato.
Il caso di Sanremo ha sollevato un polverone enorme tanto da costringere anche la politica a intervenire contro i “furbetti del cartellino” Muraglia non vuole passare per un menefreghista, nonostante i video siano chiari. Oltre a essere ripreso in versione casalinga, le telecamere hanno colto moglie e figlia mentre timbravano il cartellino al suo posto.
“Sono stato superficiale e in questo ho sbagliato, ma ero presente in servizio. In queste circostanze, poiché mi ero attardato a chiudere pratiche d’ufficio, ho chiesto a mia moglie o a mia figlia, che venivano a chiamarmi per andare a tavola, di timbrare al mio posto”, ha spiegato a La Stampa.
Il fatto, dice, è che l’appartamento dove abita è contiguo agli edifici comunali e alla timbratrice. Per questo, si difende, gli è capitato di timbrare diverse volte in abiti non consoni al servizio, ma solo nei giorni festivi, quando sapeva di non incontrare nessuno. Tra i suoi compiti c’era anche quello di vigilanza sui posteggi dei banchi del vicino mercato: così è capitato che dovesse scendere in fretta a timbrare prima di andare a spostare le auto in sosta vietata.
Anche la moglie è intervenuta in diretta tv nel programma di Massimo Giletti, L’Arena, insieme al suo legale, l’avvocato Luigi Alberto Zoboli. Secondo la difesa, avrebbe ance sventato una rapina in mutande, precipitandosi in strada con pistola in pugno (ma senza pantaloni).
A suo dire, sarebbe il capro espiatorio di tutta la vicenda. “La verità è che quando ho timbrato in abiti succinti ero certo di non esporre né me né il Comune a un danno d’immagine, considerato che in quei giorni e in quelle ore i locali erano chiusi ai cittadini. Il mio comportamento non era oggettivamente idoneo a manifestarsi pubblicamente”, si è difeso. Insomma, sarebbe stata solo una questione di abbigliamento.