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Ustionato da un compagno di cella perché soffrisse, come soffrì la sua vittima. Brett Cowan, 48enne australiano, in prigione per il rapimento, lo stupro e l’omicidio del 13enne Daniel Morcombe, è stato ustionato da un compagno di cella, Adam Paul Davidson, che gli ha gettato un secchio di acqua bollente addosso, provocandogli ustioni sul 15% del corpo. L’uomo ha confessato davanti al giudice Ian Dearden di aver agito da solo e di averlo fatto perché Cowan provasse lo stesso dolore della sua vittima. Il giudice gli ha comminato un mese aggiuntivo di pena dopo la confessione della tortura inflitta al pedofilo. “Dovevo farlo, è un uomo malato”, ha spiegato il prigioniero, padre di quattro figli e in carcere per rapina e frode.
La vicenda del piccolo Daniel Morcombe sconvolse il Queensland australiano. Rapito nel dicembre 2003, i resti del suo corpo, fatto a pezzi, vennero trovati nel 2011 in un campo: grazie a indagini elaborate e complesse, le autorità risalirono a Cowan che confessò il rapimento, lo stupro e l’omicidio del piccolo, venendo condannato all’ergastolo.
La storia di Daniel e la vicenda processuale del suo assassino sono rimaste impresse nella storia locale come il peggior crimine sessuale contro minori registrato nella zona.
Davidson ne era a conoscenza e ha voluto punire il killer del 13enne, architettando tutto con cura: ne ha studiato le abitudini per un mese e, quando ha visto le brutte cicatrici da ustione su un altro detenuto, ha capito come agire. Così, ha riempito un secchio di acqua bollente e glielo ha gettato addosso mentre giocava a carte, colpendolo in faccio più volte col secchio prima di essere fermato.
Cowan ha avuto ustioni leggere sul 15% del corpo ora è ricoverato in ospedale, mentre il suo assalitore dovrà scontare un mese di carcere in più. Come riporta la stampa locale, secondo il giudice, Davidson non aveva il diritto di agire come vigilante, anche perché ogni persona deve essere trattata con dignità, anche chi sia stato condannato per un crimine “spaventoso”. “Siamo tutti preziosi esseri umani, non importa chi siamo”, ha dichiarato il giudice Dearden. “La sua punizione deve essere la prigione, non la tortura, di qualunque tipo”.