Il Gambia ha messo al bando le mutilazioni genitali femminili. Secondo quanto riporta Al Jazeera, il ministero dell’Informazione ha emesso un comunicato in cui il presidente Yahya Jammeh ha chiarito le motivazioni della scelta: le MGF non sono contemplate nella religione islamica, la confessione praticata da oltre il 90% della popolazione, e non possono essere ammesse in una società moderna. Il Gambia è solo l’ultimo dei 20 paesi africani ad aver messo al bando questa pratica terribile, che prevede mutilazioni agli organi sessuali femminili fin dalla più tenera età.
Le mutilazioni genitali femminili, secondo di dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, riguardano circa 125 milioni di donne. Come abbiamo già spiegato parlando dell’infibulazione (una delle mutilazioni più praticate, invasive e dolorose, con esiti spesso mortali), le MGF non sono una pratica legata alla religione, che sia cristiana, musulmana o animista. Al pari di altre mutilazioni, come il breast ironing, nasce da antiche tradizioni tribali, legate a una visione maschilista della società: dove comandano gli uomini perché uomini, alle donne viene negata anche la gestione del proprio corpo.
Per questo, non basta la messa al bando a livello legale, come ha spiegato ad Al Jazeera Berhane Ras-work, attivista anti MGF e fondatrice del Comitato Inter-Africano contro le pratiche MGF, che riunisce 28 Paesi del Continente Nero.
Se la decisione del governo gambese è vista come “un passo positivo”, “risultato del lavoro svolto da organizzazioni non governative e attiviste che si battono da 30 anni”, non è ancora sufficiente, fa notare Ras-work.
Il problema è più complesso perché alla base ci sono interpretazioni sbagliate e convinzioni ataviche difficili da estirpare con una semplice legge. Anche le religioni, cristiana e musulmana, non sono esenti da colpe nell’imporre “un sistema patriarcale al fine di controllare il corpo femminile e soprattutto il suo ruolo riproduttivo”.
Perché la lotta alle MGF venga vinta, ci vorrà del tempo, sottolinea anche Sabrina Mahtani, ricercatrice per Amnesty International in Africa occidentale. Servono fondi per lavorare sulle comunità locali, iniziare un percorso di educazione che passi prima di tutto dalle donne più anziane, vere promotrici delle mutilazioni genitali femminili. Anche le comunità religiose devono essere coinvolte in questo processo: la voce delle autorità spirituali può e deve essere di aiuto per andare oltre la visione maschilista della società e riconoscere il diritto delle donne a essere se stesse, in pace con il proprio corpo.
In ogni caso, la scelta del Gambia è senza dubbio un passo avanti, ancora di più perché viene da un Paese che ha lacune enormi in fatto di diritti civili, con una delle legislazioni più repressive per gli omosessuali. Oggi possiamo quasi dire che il mondo è un luogo un po’ più bello.
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