Quando una donna è vittima di violenza, che sia fisica o psicologica, tendiamo sempre a darle la colpa. Spesso non lo facciamo neanche apertamente; è come un pensiero subdolo che striscia sottofondo. Nel caso dello stupro a volte è proprio palese: alzi la mano chi non ha mai pensato che un po’ se l’è cercata, che magari ha esagerato con l’abbigliamento, che insomma, se era ubriaca un po’ è anche colpa sua. Difficile sentire queste frasi dette a voce alta quando si parla di violenze domestiche o, peggio ancora, di femminicidio. Fateci caso: negli ultimi anni, grazie a un diverso racconto anche da parte dei media, ci siamo abituati a pensare che picchiare la compagna o uccidere una donna perché ti vuole lasciare è sempre sbagliato. Certo le sacche di resistenza ci sono ancora, ma qualcosa è cambiato: è un piccolo spiraglio in un mondo buio, ma vale la pena di seguirlo perché così cadono le “resistenze culturali”.
Facciamo un passo alla volta. Quando colpevolizziamo qualcuno lo facciamo anche per una sorta di protezione personale. È un processo che funziona anche verso gli immigrati o i diversi, che rendiamo “altro” da noi per staccarci e non immedesimarci nelle loro sofferenze.
Quando diamo la colpa ha chi ha subìto uno stupro o le botte del compagno lo facciamo (non solo ma anche) perché vogliamo credere che a noi non capiterà, che noi non ci comporteremo così ed eviteremo le situazioni “a rischio”. È più semplice: evito di indossare certe cose in certi luoghi, magari non vado in giro la sera da sola e metto in atto una serie di comportamenti “virtuosi” che tengono alla larga i guai. Tutti ottimi ragionamenti. Peccato che non bastano.
Le donne sono vittime di violenze e abusi molto più degli uomini perché è la società che ha dipinto loro addosso il ruolo di vittima. Il “sesso debole” lo è per definizione e ancora di più in rapporto al “sesso forte”: da una parte c’è chi comanda e dall’altra chi obbedisce. È sempre stato così anche nella nostra cultura occidentale del “non siamo mica arretrati come i musulmani“, ci piaccia o no. La società italiana è stata patriarcale, non matriarcale, era l’uomo il vertice della piramide e lo è ancora oggi. Ci vantiamo di esserci evoluti rispetto ai tempi in cui le donne venivano relegate a casa a fare figli e ad accudire il marito (meglio se in silenzio) ma il cambiamento è solo superficiale.
Certo noi donne oggi stiamo meglio di 50 anni, ma da qui a dire che stiamo bene ne passa. Siamo uscite di casa per lavorare e ci pagano comunque meno degli uomini, anche quando siamo più brave; rientriamo in casa e ritorniamo la donna dei tempi che furono, tra cene da preparare, spese da fare, figli da accudire, panni da lavare. Se vogliamo avere una carriera ci chiedono di rinunciare a diventare madri per poi fare il fertility day e ricordarti che non sei fertile per sempre (se per questo neanche gli uomini, ma non importa).
Non è colpa degli uomini, sia chiaro: la società siamo anche noi donne. Siamo le prime ad additare come una poco di buono una single che preferisce il divertimento ai doveri della coppia: il caso di Tiziana è lì a dimostrarlo. Anche se non lo pensiamo “a voce alta”, abbiamo quel tarlo dentro: ci hanno cresciute in questo mondo e abbiamo respirato aria di maschilismo troppo a lungo per essere oltre il genere.
Vogliamo dare la colpa alla “società”? No, perché così fuggiamo davanti alle responsabilità individuali. Prendiamo il caso delle 17enni che filmano l’amica che viene stuprata: di chi è la colpa? Della vittima che era troppo ubriaca? Delle amichette che ridevano invece di aiutarla? Perché non è solo colpa della bestia che approfittava di una minorenne non cosciente? Chi ha educato lui e la vittima? Chi ha educato anche noi che guardiamo prima la vittima e poi il carnefice? La famiglia in primo luogo. Poi la scuola. Infine noi, cioè la società.
Gli stupratori della bambina di 13 anni: è davvero solo colpa di ragazzi appena maggiorenni? Non è che qualcuno li ha cresciuti con il mito del maschio predatore e l’idea che le donne, anche le più piccole, sono oggetti alla loro mercé? I genitori dov’erano mentre per tre anni violentavano una bambina? A creare il clima da “se l’è cercata”, quello che hanno respirato anche la madre e il padre della vittima che oggi noi additiamo per non sentirci in colpa.
Abbiamo cercato di dimostrare che non è mai colpa della vittima quando il caso della 16enne di Salerno stuprata dal branco rimbalzò sui media, compresi gli insulti dei coetanei verso la vittima (e non verso i carnefici).
Non lo è quando porta la minigonna, quando alza il gomito in discoteca, quando esce la sera da sola, quando si diverte a fare sesso: non è colpa sua. L’unico colpevole è chi usa la violenza, fisica e psicologica, compresi uomini e donne che insultano la vittima invece dell’aggressore. Non è uno scontro uomini vs donne, ma tra chi si è evoluto e chi è rimasto al secolo scorso. La vera modernità non è l’iPhone o Facebook, ma cambiare il modo di pensare per riconoscerci nella vittima e non nel carnefice.