In qualità di esseri umani, solitamente, siamo propensi all’empatia. Questo non può dirsi certo di Vladimir Putin. Che per molti è già l’ultimo zar.
A più di un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina, è notizia di ieri come la Corte penale internazionale abbia emesso un mandato di arresto contro il presidente russo. Questo sarebbe responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia. Lo stesso mandato è stato emesso anche nei confronti di Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissario per i diritti dei bambini presso il Cremlino.
Che Putin fosse un criminale di guerra lo avevamo capito da tempo. Ma le accuse mosse dal tribunale internazionale denunciano uno dei fatti più atroci e drammatici di cui un uomo può macchiarsi.
Putin sembrerebbe essere affetto da un disturbo di personalità di tipo narcisistico misto a disturbo paranoide. Dunque, come tale, è un soggetto dotato di autostima smodata ed è animato da sete di potere e fantasie di grandiosità irragionevoli.
Oggi è anche accusato di aver deportato i bambini ucraini. Lui che ha trascorso la sua infanzia nei casermoni sovietici, dove la violenza la faceva da padrona. Figlio di un processo biografico probabilmente non risolto, si è ricoperto di un potere sconfinato ed incomparabile. Con tutti i rischi, e le atrocità, che ciò comporta.
Ha dimostrato di ragionare da monarca assoluto, identificando da sempre il destino della Russia con il suo personale. La storia, del resto, rappresenta per lui un’ossessione. È infatti innegabile come lo zar reputi da sempre il territorio che amministra come un’entità che per ragioni storiche è superiore all’Ucraina. Considerata, nel suo distorto punto di vista, una sola invenzione di Lenin. E tratta l’intero popolo ucraino come se loro fossero dei terroristi, mostrando peraltro evidenti analogie con Slobodan Milosevic, giudicato dalla Corte penale internazionale per il genocidio in Bosnia.
Allo stesso tempo, anche guardando alla politica attuata negli ultimi anni, ha agito non solo per placare la sua sete di potere, come denuncia l’annessione della Crimea del 2014.
Difatti, sia nei suoi impegni istituzionali pubblici sia in quelli di palazzo, si è dimostrato diffidente anche nei confronti degli oligarchi. Sempre con il timore di essere ingannato e di perdere il potere. Timori senza dubbio confermati anche dalle richieste avanzate durante i negoziati delle prime settimane. La sua richiesta principale, infatti, era la smilitarizzazione dell’Ucraina. E ciò perché il principale timore di Putin è da sempre che a Mosca possa un giorno ripetersi ciò che è accaduto a Kiev proprio nel 2014.
Gli stessi motivi che lo hanno portato, ad inizio 2020, a modificare la Costituzione rendendosi, nei fatti, presidente a vita. In quell’occasione, il cambiamento più significativo aveva riguardato l’annullamento del doppio mandato presidenziale consecutivo. Che gli avrebbe consentito di governare, almeno a seguito della seconda elezione, solamente fino al 2036.
Il messaggio che ha inviato è quello di detenere un potere tale da modificare le regole a proprio piacimento. E un tale atteggiamento ha cambiato non soltanto la psicologia nei confronti di sé stesso, ma anche il modo con il quale ha scelto di rapportarsi nelle relazioni internazionali: lo fa sentire onnipotente.
In un simile quadro è difficilissimo provare a negoziare con qualcuno che detiene una tale visione di sé stesso e della società. In termini semplicistici, Putin è convinto di passare alla storia come Giulio Cesare. Un convincimento che lo porta a prendere costantemente decisioni irragionevoli ed impensabili per la coscienza sociale ed occidentale.
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