La moglie aveva dato alla luce una bambina. Ma lui voleva un maschio a tutti i costi. Così ha sfogato la rabbia sulla piccola neonata innocente, prendendola a botte. Poi, non contento, si è scagliato contro la moglie. Prima l’ha colpita a calci e pugni, ma non soddisfatto ha impugnato la cinghia e l’ha frustata. Non ancora soddisfatto l’ha stuprata. Processato a Milano, l’uomo, originario dell’Afghanistan, è stato giudicato colpevole di vari reati. Tra cui sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia, lesioni e violenza sessuale. E’ stato condannato a 3 anni e 8 mesi di carcere, con rito abbreviato.
L’uomo, che aveva sposato sua moglie in Pakistan quando lei aveva soltanto quindici anni, era stato posto in arresto lo scorso agosto, per fatti accaduti tra marzo e giugno.
Non sopportando il fatto che la moglie avesse dato alla luce una bambina nel febbraio 2017, era solito picchiare entrambe. “In più occasioni adoperava violenza – ha sostenuto l’accusa – sulla figlia minore prendendola a schiaffi in quanto di sesso femminile e non maschile, come il padre avrebbe voluto”. Inoltre minacciava la moglie di ucciderla se lo avesse denunciato.
Oltre ai calci, ai pugni e agli schiaffi, la donna subiva anche le cinghiate del marito, date con oggetti più svariati. A volte veniva percossa con la cintura dei pantaloni, a volte con la cinghia di una borsetta. Altre volte con un cavo del caricabatteria del cellulare. Sempre veniva minacciata e obbligata a tenere lo sguardo basso e fisso al pavimento. L’uomo le ripeteva “se chiami la polizia ti uccido” o “ti butto giù dal balcone”.
In diverse occasioni (accertate almeno tre) l’imputato condannato ha stuprato la moglie sotto minaccia delle armi. Una volta l’ha ferita con un coltello alla gamba destra. Inoltre la chiudeva dentro casa a chiave per impedirle di uscire.
Giudicato con il rito abbreviato dal Tribunale di Milano, l’afgano è stato giudicato colpevole di tutti i reati a lui ascritti ed è stato condannato a 3 anni e 8 mesi di carcere. Il rito abbreviato, lo ricordiamo, consente uno sconto di un terzo rispetto alla pena prevista con rito ordinario. L’uomo dovrà anche pagare il risarcimento dei danni alla moglie e alla figlia, parte civile nel processo. E dopo l’espiazione della pena, il gup ha stabilito l’espulsione dell’uomo. Mamma e figlia, invece, ora vivono in una comunità protetta.
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