Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato. Mancava solo l’ultimo passaggio perché l’Italicum diventasse legge a tutti gli effetti. Sergio Mattarella è stato invocato da più parti, dalle opposizioni e anche da alcune voci della società civile, che gli hanno chiesto di non firmare la legge, ma da quello che trapela dal Colle non è quello che farà. Anche se non gli sarà piaciuto il modo con cui si è arrivati al voto, con una prova di forza da parte della maggioranza e banchi delle opposizioni vuoti, Mattarella non ha avuto intenzione di mettersi a disposizione dei partiti che lo hanno invocato, come del governo.
Chi si è rivolto a lui, sperava di bloccare la legge votata in Parlamento, facendo leva sulle sue conoscenze in materia. Sua la legge elettorale precedente al Porcellum e con cui si è votato per anni; come giudice costituzionale ha bocciato il vecchio sistema dichiarandolo incostituzionale in due punti. Come Presidente della Repubblica, ha il dovere di vigilare sull’aderenza alla Costituzione della legge ed è proprio questo però il punto di forza dell’Italicum: la riforma va ad aggiustare le storture individuate nel Porcellum e Mattarella lo sa bene. Il premio di maggioranza senza soglia e le lunghe liste bloccate sono state tolte con la riforma elettorale, quindi a livello formale l’Italicum non ha alcun problema.
In ogni caso, non spetta a lui andare a vedere nel dettaglio: quello è il compito della Consulta (che Mattarella conosce dall’interno per averne fatto parte) ed è alla Corte che potrà essere rimandata la legge.
La Camera approva: la riforma è legge
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L’Italicum è legge. La Camera ha approvato con 334 sì la riforma elettorale voluta dal governo Renzi, 61 i voti contrari. La maggioranza puntava ad avere 350 voti: dai primi calcoli mancano quelli della minoranza dem, anche perché alla prima votazione la fiducia era passata con 352 voti. Le opposizioni (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) hanno chiesto e ottenuto lo scrutinio segreto, ma tutto il fronte contrario si è organizzato. Gli azzurri e il Carroccio hanno annunciato che sarebbero usciti dall’Aula; anche SEL non è stata presente, ma il partito di Nichi Vendola non ha voluto parlare di “Aventino“, come invece ha dichiarato Renato Brunetta. “Sarà una reazione al disprezzo del premier verso il Parlamento“, ha dichiarato Arturo Scotto. Voto contrario da parte del MoVimento 5 Stelle che alla fine ha deciso di uscire dall’Aula. “Impegno mantenuto, promessa rispettata. L’Italia ha bisogno di chi non dice sempre no. Avanti, con umiltà e coraggio. È #lavoltabuona“, è il commento a caldo di Matteo Renzi affidato a Twitter.
Soddisfazione arriva in particolare dalla ministra Maria Elena Boschi che su Twitter scrive “Ce l’abbiamo fatta! Coraggio Italia“.
Diversi i toni da parte delle opposizioni e in particolare da Forza Italia. Per Renato Brunetta, l’approvazione dell’Italicum è “una vittoria di Pirro, di Renzi e del suo governo. Con questi voti la riforma costituzionale non passerà mai e se non passa questo Italicum è incostituzionale I numeri sono tali – spiega – che in Senato Renzi non ha la maggioranza ormai su nulla“.
“I voti del no sono in parte del PD. 60 no è un dato politico e indica il grande dissenso“, è il commento di Pier Luigi Bersani, una delle voci più importanti della minoranza dem, mentre Angelino Alfano conferma la bontà della riforma. “Abbiamo approvato una buona legge”, è il suo primo commento.
Le votazioni si erano concluse in un primo momento giovedì sera con il terzo sì incassato dal governo. Ci sono stati 342 sì, 15 no e un astenuto. Si è conclusa così la maratona delle tre fiducie poste dall’esecutivo sulla legge elettorale. Il secondo sì è stato incassato dal governo nella votazione di giovedì mattina: 350 i voti favorevoli, 193 i contrari. Si è registrato un calo nei votanti rispetto a mercoledì quando i sì furono 352 e i no 207. Intanto, si fanno i conti all’interno del PD dopo il primo sì incassato mercoledì pomeriggio, quando Montecitorio ha approvato la mozione posta dal governo Renzi. Una lista diffusa da ambienti vicini ai dem parlano di 38 deputati dem che non hanno votato la fiducia, 44 gli assenti. In parte, le defezioni sono state equilibrate da altri voti favorevoli al governo arrivati da altri schieramenti.
La giornata di mercoledì ha visto le proposte di parte dell’opposizione: dopo il lancio di crisantemi, gli esponenti di SEL hanno portato il lutto al braccio. Soddisfazione dai banchi dell’esecutivo. “I numeri sono in linea con le altre votazioni di fiducia“, commenta a caldo la ministra Maria Elena Boschi. Il voto però ha certificato lo strappo all’interno del PD: oltre ai contrari, sono 50 i deputati di “Area Riformista” che hanno firmato un documento in cui confermano la fiducia al governo pur considerandola un errore. Come previsto, a votare contro sono stati membri importanti dei dem tra cui l’ex premier Enrico Letta, l’ex presidente del partito Rosy Bindi, l’ex segretario Guglielmo Epifani, l’ex presidente e sfidante di Renzi alle Primarie Gianni Cuperlo e Pippo Civati.
La tensione interna ai dem è ormai altissima, ma Renzi non si tira indietro e rilancia. “Se non passa vado a casa”, scrive di suo pugno in una lettera pubblicata da La Stampa.
Scrivendo al quotidiano di Torino, il premier difende la scelta della fiducia e la legge elettorale. “L’Italicum non sarà perfetto, come nessuna legge elettorale è perfetta. Ma è una legge seria e rigorosa che consente all’Italia di avere stabilità e rappresentanza”, dice Renzi.
La fiducia è arrivata “perché dopo aver fatto dozzine di modifiche, aver mediato, discusso, concertato, o si decide o si ritorna al punto di partenza. Se un Parlamento decide, se un governo decide questa è democrazia, non dittatura. Se il Parlamento rinvia, se il governo temporeggia, il rischio è l’anarchia”. L’Italia, ricorda il premier, attende la riforma elettorale dal 2006. Ora dopo essere stata “modificata più volte, è finalmente pronta”.
Non è più tempo di aspettare: altre modifiche riporterebbero la legge in Senato, dove anche Forza Italia ha votato a favore. “La legge elettorale perfetta esiste solo nei sogni: decidiamo o continuiamo a rimandare? Mettere la fiducia è un gesto di serietà verso i cittadini”, spiega. Dall’Italicum dipende anche il destino del governo perché, avvisa, se non passa, le dimissioni sono pronte a partire. “Se c’è bisogno di un premier che faccia melina, non sono la persona adatta. Se vogliono un temporeggiatore ne scelgano un altro, io non sono della partita”.
Il governo mette la fiducia, caos in Aula
Matteo Renzi ha deciso di blindare la nuova legge elettorale e di chiedere la fiducia. Gli stessi ministri hanno autorizzato la richiesta e il ministro Maria Elena Boschi l’ha avanzata ufficialmente. L’annuncio è stato accolto dalle proteste delle opposizioni, che hanno urlato, insultato e manifestato in tutti i modi il loro dissenso. Il capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta, ha fatto riferimento ad un “fascismo renziano”. Il richiamo al fascismo è stato fatto anche da Beppe Grillo, che ha espresso il suo parere attraverso Facebook. Il leader di SEL, Nichi Vendola, ha detto che la fiducia sulla legge elettorale “è un atto di squadrismo elettorale”.
Il capo del Governo ha spiegato come mai voglia legare le sorti dell’esecutivo a quelle dell’Italicum. Matteo Renzi ha detto: “Dopo anni di rinvii, noi ci prendiamo le nostre responsabilità in Parlamento e davanti al Paese”. E poi ancora ha riferito: “La Camera ha il diritto di mandarmi a casa, se vuole: la fiducia serve a questo. Finché sto qui provo a cambiare l’Italia”.
Gli animi erano già caldi dopo le votazioni sulle pregiudiziali di costituzionalità e di merito presentate dalle opposizioni. Renzi è stretto tra la morsa di Forza Italia, pronta a bocciare la legge che ha contribuito a scrivere e già votato in Senato, e la minoranza dem. Toni duri sono arrivati anche dalla ministra Maria Elena Boschi. Tutto dipenderà dai numeri che usciranno dalle prime due votazioni già in calendario, in attesa di quella definitiva prevista per la prossima settimana.
Lo scrutinio segreto però permetterà ai franchi tiratori da destra e da sinistra di accorciare le distanze e saranno quei numeri a muovere le manovre di Renzi. La maggioranza punta a 350 voti anche nel segreto dell’urna, con stime che da destra e sinistra si avvicinano (330-345 voti quelli ipotizzati), contro i 230 delle opposizioni. Sotto questa soglia, per il governo e il PD renziano si aprirebbe un nuovo scontro interno ed esterno.
La Boschi è stata chiara anche nella prima giornata di discussione alla Camera. Ricordando le parole del senatore forzista Paolo Romani, la ministra ha puntato il dito contro il partito di Silvio Berlusconi. Non è cambiato nulla “da quando abbiamo approvato questo stesso testo che oggi Forza Italia giudica incostituzionale. Non possiamo pensare che una legge diventi incostituzionale solo perché nel frattempo abbiamo eletto presidente Mattarella, perché la coerenza non è un optional”, ha asserito davanti all’Aula semivuota.
Il piano sembra chiaro: Renzi vuole andare avanti, con o senza Forza Italia e anche i dissidi interni non saranno contemplati. L’iter dell’Italicum è legato a doppio filo alla sorte del governo e dello stesso PD. Ora sarà l’Aula a decidere da che parte penderà l’ago della bilancia.
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