Il voto sull’adesione al gruppo europeista dell’ALDE voluto da Beppe Grillo per il MoVimento 5 Stelle ha certificato, di nuovo, una delle falle più gravi del sistema pentastellato. Le votazioni online del M5S hanno dimostrato di essere populismo all’ennesima potenza con l’aggravante di andare a colpire soprattutto chi vota il movimento e ne condivide battaglie e ideologie. Il cambio drastico della politica in Europa, da anti a pro UE (euro compreso) è stato deciso da una parte minima degli elettori che pure hanno portato i rappresentanti grillini a Bruxelles e Strasburgo. In meno di 24 ore e con una mossa quanto meno discutibile nei tempi e nelle modalità se, come sembra, l’accordo era stato siglato 4 giorni prima del voto, tutto è cambiato: 31.914 iscritti hanno detto sì al nuovo gruppo pro UE dell’ALDE, segnando una svolta epocale per il movimento e per la stessa Europa. A beffa finale, il voto si è dimostrato del tutto inutile visto che l’ALDE ha rifiutato l’alleanza.
Il Movimento ha fatto della democrazia diretta il suo punto forte e ha scelto di usare il web come luogo unico di discussione. Il regolamento del M5S prevede che le scelte politiche, a partire dal regolamento, vengano sottoposte al voto di iscritti certificati, gli unici autorizzati a votare sulla piattaforma Rousseau, sistema operativo del movimento.
Come funziona il voto online del M5S
Il sistema del voto online per il M5S è regolamentato dagli organi ufficiali del movimento e prevede l’accesso alla piattaforma Rousseau solo per gli iscritti certificati del M5S, coloro cioè che hanno seguito le indicazioni del punto 1 del regolamento (scaricare il documento dal sito, compilarlo e mandarlo con copia di un documento d’identità). L’iscrizione di per sé non è sufficiente se, come si legge sul blog, è necessario che sia “accertato il possesso dei requisiti indicati nel “non statuto”, con “procedura di identificazione ed accettazione effettuata dal gestore del sito incaricato dal capo politico del MoVimento 5 Stelle”, cioè rispettivamente la Casaleggio Associati e Grillo.
Stando ai dati certificati dallo stesso movimento e pubblicati sul blog in occasione del voto sul nuovo “non Statuto” al 1° gennaio 2016 gli iscritti del M5S certificati a votare online sono 135.023.
Come facciamo a dire che il voto sull’adesione all’ALDE è la certificazione del populismo all’ennesima potenza? Basandoci sui numeri. Dei 135.023 elettori certificati hanno votato 40.654 iscritti: il sì alla proposta di Grillo è arrivato dal 78,5% pari a 31.914 iscritti, mentre 6.444 hanno votato per rimanere con l’EFDD e 2.296 per l’iscrizione al gruppo dei Non Iscritti (dati blog beppegrillo.it). In percentuale, ha votato sì all’accordo con ALDE il 23,63% degli iscritti al movimento. Una minoranza degli elettori certificati ha cambiato la politica dell’intero movimento.
Ad aggravare il tutto c’è stato l’accordo pre-voto (il documento postato in rete è datato 4 gennaio 2017) e il no del gruppo dei Liberali che hanno rifiutato l’alleanza.
Con l’ingresso del gruppo di Grillo, l’Alleanza dei Liberali e Democratici sarebbe diventata la terza forza del Parlamento Europeo, in grado così di avere più peso nelle scelte politiche e di accedere a tutti i finanziamenti. La stessa dichiarazione di Luigi Di Maio che ha parlato di “scelta tecnica” e non politica è chiara: il M5S doveva trovare un accordo per valere di più a livello numerico quando il Parlamento Europeo è chiamato a votare il nuovo presidente il prossimo 17 gennaio ma soprattutto per non perdere 700mila euro di soldi pubblici.
Il rischio è ora reale. Con la fuoriuscita dell’Ukip in UE, il gruppo dell’EFDD non avrebbe più avuto i numeri per un gruppo autonomo e il M5S sarebbe dovuto confluire nel gruppo dei “Non Iscritti”, come ha chiarito Grillo stesso. Il problema è che questo avrebbe significato dire addio ai “fondi 400”, cioè i 40mila euro all’anno per ogni parlamentare che l’UE dà al gruppo politico di appartenenza per le attività politiche sul territorio: un tesoretto da circa 700mila euro che, secondo fonti interne citate dal Corriere, rischiava di essere dimezzato.
Professare la democrazia diretta in rete e poi dare a 31mila persone il potere di scegliere la linea politica di un movimento che, alle elezioni europee, è stato votato da 5.792.865 persone (dati Viminale) è quanto meno fuorviante.
Il destino dell’assemblea politica eletta direttamente dai cittadini europei che rappresenta tutti i 508 milioni di abitanti dell’Unione è stato nelle mani di una manciata di utenti online conosciuti solo al blog di Grillo: è come se a decidere fossero stati i cittadini di Mascalucia, un oscuro paese in provincia di Catania che conta 31.958 abitanti. Le proporzioni non reggono.
Se poi si chiede il voto su un accordo che è stato preso ma non a livello ufficiale, in un pasticcio politico di dimensioni gigantesche, si è anche irresponsabili.
Per di più, a ogni votazione online, si abbassa il numero dei partecipanti. Alle ultime, tenute il 26 ottobre sulle modifiche del Non Statuto, avevano votato 87.213 iscritti, più del doppio di coloro che hanno votato su un tema centrale come la politica europea.
Dire che il PD “non ha fatto votare gli iscritti” per entrare nel gruppo dei Socialisti Europei come sostiene Danilo Toninelli, capogruppo alla Camera del M5S, e altri suoi colleghi nelle polemiche che stanno divampando sul web, è un errore. I dem, da statuto votato nel 2009 e modificato nel 2015, hanno un congresso ed elezioni primarie tramite cui scelgono il segretario e la conseguente linea politica.
Alle primarie dell’8 dicembre del 2013, aperte a tutti (con tanto di polemiche per i “voti cinesi”), hanno votato 2 milioni e 850mila persone circa: i tre candidati (Renzi, Cuperlo e Civati) avevano presentato tre mozioni per entrare nei Socialisti Europei e chiunque avesse vinto (in quel caso fu Renzi con il 65% circa delle preferenze e 1,8 milioni di voti), avrebbe portato il PD nel PSE. La mozione del segretario è stata poi votata anche dal congresso.
Anche le altre forze politiche hanno deciso di aderire a un gruppo europeo che rispecchiasse i loro valori. Forza Italia, dopo un tira e molla durato qualche anno, dal 1998 fa parte nel gruppo dei Popolari Europei, il PPE, quello di Angela Merkel per capirci.
La Lega Nord ha creato con il Front National di Marine Le-Pen il gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà, l’ENF: il partito di Matteo Salvini ha unito le forze con le forze delle destre populiste per portare avanti il proprio progetto anti UE senza neanche passare da elezioni perché è il DNA della Lega e la politica da lei espressa quella che hanno sempre votato i cittadini.
Il punto è proprio questo: non avere un’ideologia di riferimento, come il M5S rivendica fin dalla nascita (“né di destra né di sinistra”) permette di muoversi all’interno di alleanze politiche per “scelte tecniche”, passando dal gruppo euroscettico per eccellenza al più europeista dell’intero parlamento solo per una questione di opportunità. Una situazione che i simpatizzanti e i sostenitore del movimento faticano a capire e a digerire, come dimostrano le polemiche sul web.
La vicenda del voto sull’ALDE segna un nuovo capitolo della politica del M5S. È la fase del “capo politico”, dove “l’uno vale uno” non conta più se quell’uno è Beppe Grillo e dove le votazioni online e la democrazia diretta hanno perso la loro forza innovativa. È lui che decide la linea del movimento: il voto serve semmai a certificare la sua scelta, anche se è inutile.
Tutto questo è più che legittimo se non fosse che il movimento era nato come forza euroscettica, non attaccata alle poltrone e ai soldi pubblici, portavoce di un nuovo modo di fare politica che ora la base vede a rischio. Gli attivisti in rete si sono divisi e sono molti, tanti, quelli che chiedono dove sono andati i valori del M5S, quegli stessi valori che hanno portato oltre 5,7 milioni di persone a votarli come loro rappresentanti in Europa.
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