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Waterboarding: cos’è la tortura dell’acqua che simula l’annegamento

Cos’è il Waterboarding? Il suo significato è un tipo di tortura praticata dalla CIA e dal governo americano, nell’ambito degli interrogatori ai sospettati di azioni terroristiche. In questi ultimi giorni, l’argomento è tornato a far discutere, dopo che il nuovo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dichiarato di voler ripristinare questo genere di torture (e anche altre di peggiori).

Nella pratica, il waterboarding consiste nell’immobilizzare il sospettato, legandolo a un’asse inclinata, in maniera tale che i piedi si trovino più in alto rispetto alla testa: da questa posizione gli viene versata dell’acqua sul volto coperto.

Il sospetto terrorista è legato sia alle gambe che alle braccia, in maniera tale che non abbia alcuna possibilità di movimento. Il risultato del waterboarding è una sorta di annegamento controllato: non è una pratica esente da rischi, infatti può portare facilmente a danni polmonari e cerebrali. Se la pratica non viene interrotta, si può andare incontro anche alla morte: la causa principale di decesso per le vittime di waterboarding è l’aspirazione di vomito. Ai danni fisici si aggiungono i danni psicologici che sono inevitabili: con la pratica del waterboarding il cervello umano ha la percezione dell’annegamento, quindi del rischio imminente di morte.

Alcuni membri della CIA si sono volontariamente sottoposti alla pratica, ne è risultata una resistenza massima di 14 secondi.

WATERBOARDING NELLA STORIA

Il waterboarding è una tortura conosciuta dai tempi dell’inquisizione spagnola, nel 2006 la pratica è tornata sotto la lente di ingrandimento, quando qualcuno sostenne che l’amministrazione Bush autorizzò il suo uso durante gli interrogatori di detenuti afghani, nell’ambito della guerra al terrorismo statunitense. Esiste anche un documento, il memorandum Bybee, in cui venivano descritte tecniche interrogative ritenute legali, nell’ambito di un interrogatorio di un sospettato di terrorismo: tra queste compare anche il waterboarding. Nel 2008, in un’intervista all’ABC, il presidente George W. Bush ha ammesso esplicitamente l’utilizzo della tortura negli interrogatori: ‘Sapevo che il mio team per la sicurezza discuteva di questo e ho approvato’.

Sempre nel 2008, il giornalista Christopher Hitchens, decise di sottoporsi al waterboarding per provare personalmente quello che molti sostenevano fosse una tortura inumana e al di fuori della convenzione di Ginevra. Il risultato lo descrisse in un articolo pubblicato su Vanity Fair, nel quale parafrasando la famosa frase di Lincoln, espresse chiaramente ciò che aveva provato: ‘Se la schiavitù non è sbagliata allora nulla è sbagliato’, se il waterboarding non è tortura non esiste la tortura.

Beatrice Elerdini

Beatrice Elerdini è stata una collaboratrice di Nanopress dal 2014 al 2019, occupandosi di cronaca e attualità. Degli stessi argomenti ha scritto su Pourfemme dal 2018 al 2019.

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