Foto da Facebook
Avete notato commenti strani sui post di Facebook? È il wikibombing, la nuova protesta del web per dire basta ai post acchiappaclick e al cosiddetto clickbait che sta rovinando i social network e, più in generale, il mondo dell’informazione online. I primi a dare questa definizione sono stati i giornalisti di Slow News che hanno notato il moltiplicarsi del fenomeno sulle pagine Facebook di alcuni grandi quotidiani nazionali come Il Fatto Quotidiano e La Repubblica. Di cosa si tratta? Il wikibombing è la nuova modalità di commentare le notizie con definizioni copiate da Wikipedia, prendendo argomenti del tutto diversi da quello del post, dalla definizione della fisica nucleare alle ricette. Si tratterebbe, secondo la ricostruzione del sito, di una nuova protesta da parte degli utenti, stanchi di vedere le loro timeline di Facebook e Twitter piene di notizie acchiappaclick.
Slow News sta cercando di risalire alla nascita del wikibombing per capire se si tratta di un movimento spontaneo o di qualcosa di più complesso, se è nato da una comunità più grande o se è un’iniziativa di un singolo, poi diventato virale.
Il mondo dei social network infatti ha già dato prova di essere molto ricettivo in fatto di viralità pur senza sapere le motivazioni che ci sono dietro. Un esempio su tutti è quello della #sfidaaccettata su Facebook: solo dopo aver riempito di fotografie le loro bacheche, gli utenti hanno scoperto perché era nata e chi l’aveva creata, riuscendo comunque a rovinare l’iniziativa per eccesso di narcisismo.
A ora, il wikibombing sembra più un movimento spontaneo, nato all’interno delle fanpage di alcuni quotidiani nazionali. Nella sua ricostruzione, Slow News identifica nella pagina Facebook del Fatto Quotidiano il “luogo” di nascita: qui alcuni utenti avrebbero iniziato spontaneamente a riportare brani di Wikipedia che nulla avevano a che fare con l’argomento del singolo post per protestare contro le scelte editoriali della testata.
Nel suo articolo, Alberto Puliafito di Slow News dà una definizione di wikibombing più poetica, chiamandolo una “reazione dadaista alle condivisioni acchiappaclick che le fanpage dei quotidiani italiani fanno su Facebook“. Nessun media italiano ne è escluso, neanche noi, come si vede dalla foto qui sotto. La ricerca disperata di click e condivisioni porta a scrivere più articoli di curiosità e gossip che analisi del mondo e inchieste vecchio stile perché “fanno click”.
Il click è la nuova moneta del giornalismo digitale. In un mondo già in crisi (di soldi e di credibilità) com’è quello dell’informazione, oggi il lettore non vuole pagare nulla perché il web è diventato sinonimo di gratis, ma i media devono pur sostenersi economicamente, anche solo per pagare chi ci lavora: da qui la ricerca disperata alle condivisioni e ai click, sfruttando i temi del giorno, dalle nozze di Fedez e Chiara Ferragni alle notizie di gossip sui vip nostrani e non.
Il proliferare del clickbating però non paga a lungo andare. Gli utenti, soprattutto dalle grandi testate, si aspettano un’informazione più impegnata. Da qui la protesta del wikimbombing: commentare con brani di Wikipedia che non ha nulla a che fare con la notizia principale. Un modo, insomma, nuovo e a volte divertente per trollare i troll che sono una delle vere piaghe del web.
Ogni cosa ha però un rovescio della medaglia, come ricorda lo stesso Puliafito. L’algoritmo di Facebook si basa molto sull’engagement, cioè il coinvolgimento che un post crea con gli utenti, che siano ricondivisioni, commenti e reazioni: usando il wikibombing si creerebbe l’effetto surreale di premiare quei post che invece si vorrebbero colpire.
Nel frattempo, la protesta del wikibombing sta prendendo piede e sono sempre più gli utenti che commentano con brani di Wiki i post che ritengono clickbating in ormai tutte le fanpage di media online, noi compresi.
Il Wikibombing potrebbe trasformarsi in una cosa positiva per tutti e far bene anche a chi vive di questo mestiere, gettando le basi di un nuovo modo di fare informazione online dove tutti siano più responsabili, da chi confeziona le news a chi ne usufruisce, magari anche aprendo alla possibilità di pagare l’informazione sul web. La sfida è iniziata: starà a noi tutti accettarla e, nel caso, vincerla.
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