E’ iniziato il processo a Massimo Bossetti, accusato di aver ucciso Yara Gambirasio. L’operaio di Mapello si è presentato davanti ai giudici della Corte d’Assise di Bergamo. Non ci sono stati i genitori della ragazza uccisa: hanno fatto sapere che si limiteranno a fornire la loro presenza soltanto per le testimonianze. Al tribunale sono state prese numerose misure di sicurezza e sia la famiglia Gambirasio che il pm Letizia Ruggeri si sono dimostrati contrari all’ammissione delle telecamere in aula. I difensori di Massimo Bossetti hanno chiesto al giudice la nullità del prelievo del dna con un boccaglio, che è stato utilizzato durante un controllo stradale simulato.
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Claudio Salvagni, legale dell’imputato, ha detto di sentirsi tranquillo e di avere fiducia nella giustizia. Bossetti è entrato al tribunale da un ingresso secondario. Era vestito con polo e jeans e ha assistito alla discussione. E’ trapelato più volte il suo nervosismo.
La sera della scomparsa di Yara Gambirasio, Massimo Bossetti sarebbe stato a Brembate di Sopra. Lo avrebbe rivelato la madre di Bossetti, Ester Arzuffi. Tutto sarebbe accaduto nella sala d’attesa del comando provinciale dei carabinieri di Bergamo, quando la donna aspettava di essere interrogata e non avrebbe saputo di essere intercettata. Lei parla con il figlio Fabio. Non sapendo di essere ascoltata, si sarebbe lasciata andare e avrebbe rivelato che Massimo le avrebbe detto di essere passato da Brembate di Sopra.
Queste le sue parole: “Parlando della scomparsa di Yara, Massimo mi aveva detto di essere passato di lì”. La donna aveva sempre difeso il figlio, almeno davanti agli inquirenti. Adesso sembra, invece, che la sua versione non coincida con quella che avrebbe confermato anche la moglie. Quest’ultima nel secondo interrogatorio si era corretta e aveva detto che il marito era sicuramente a casa. Anche il muratore su questo particolare si è contraddetto. In un primo tempo aveva ammesso di non ricordare dove fosse la sera della scomparsa della ragazzina, successivamente aveva rivelato di essere passato da Brembate proprio quella sera.
Massimo Bossetti non avrebbe ucciso Yara Gambirasio: è questa la conclusione shock a cui si è arrivati in seguito ad alcune lettere anonime recapitate al settimanale Oggi e che poi sono state consegnate in Procura. La ragazzina di Brembate, per l’omicidio della quale è accusato il muratore di Mapello, sarebbe stata invece uccisa da un muratore polacco. Massimo Bossetti sarebbe stato presente al momento dell’omicidio. Le lettere anonime ribadiscono questi concetti. Secondo l’anonimo autore, il vero assassino sarebbe un operaio polacco che beveva troppo e che quando era ubriaco poteva diventare anche violento. Secondo le dichiarazioni delle lettere, l’uomo sarebbe poi stato ucciso in un cantiere dai complici, i quali avrebbero simulato un infortunio sul lavoro, facendolo cadere da un ponteggio. Sarebbero proprio i complici dell’omicidio che costringerebbero al silenzio Massimo Bossetti.
Secondo le lettere anonime, Bossetti avrebbe assistito senza poter fare nulla all’omicidio e sarebbe costretto al silenzio in seguito alle minacce che gli sono state rivolte. L’autore è sicuro che anche l’episodio delle presunte botte date alla sorella di Bossetti possa rientrare all’interno di questi “avvertimenti”. L’autore delle lettere anonime racconta che poi Yara è stata portata in un campo e abbandonata, come dice nella lettera, “come un sacco di patate”.
In base alle notizie che trapelano dalle lettere scritte in un italiano sgrammaticato, la sera in cui Yara è scomparsa sarebbe stata dapprima portata a casa di una signora. C’erano diverse persone insieme a lei e ad un certo momento la ragazzina si sarebbe innervosita, perché voleva tornare dai suoi genitori, che la stavano aspettando. All’improvviso il muratore polacco, che sarebbe stato ubriaco, ha cominciato a comportarsi male nei confronti di Yara, dimostrandosi parecchio violento. Gli altri presenti alla scena non sapevano che fare. Yara avrebbe gridato, finché sarebbe stata uccisa.
Secondo le notizie che sarebbero trapelate, le lettere anonime recherebbero il timbro postale di Padova e l’indicazione, secondo la quale proverrebbero da Santa Giustina in Colle, un paese della provincia di Padova. L’unica persona di Padova coinvolta nella vicenda, che poi comunque è uscita senza nessun sospetto a suo carico, è Roberto Benozzo, il datore di lavoro di Fikri, il piastrellista che inizialmente era stato fermato su un traghetto diretto in Marocco e che poi è stato prosciolto dopo due anni.
La madre e la sorella di Benozzo, proprio riguardo alle lettere, affermano che il loro congiunto non ha nulla da temere, perché dall’inchiesta è uscito senza nessuna prova a suo carico, anche se in questi anni è stato distrutto dai sospetti. Secondo i familiari di Benozzo, l’autore delle lettere sarebbe soltanto un mitomane che vorrebbe attirare l’attenzione da parte della magistratura. Sono adesso gli inquirenti a dover verificare se la segnalazione potrà aprire una nuova via nelle indagini.
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